Il Principe della Marsiliana - Romanzo romano
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Publié le 08 décembre 2010
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The Project Gutenberg EBook of Il Principe della Marsiliana, by Emma Perodi This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.net Title: Il Principe della Marsiliana Romanzo romano Author: Emma Perodi Release Date: November 9, 2005 [EBook #17035] Language: Italian Character set encoding: ISO-8859-1 *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL PRINCIPE DELLA MARSILIANA *** Produced by Carlo Traverso, Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano) Il Principe della Marsiliana ROMANZO ROMANO DI EMMA PERODI Milano FRATELLI TREVES, EDITORI Milano ROMA TRIESTE BOLOGNA Via del Corso, 383. presso G. Schubart. Angolo Via Farini. NAPOLI: Piazza Sette Settembre, 26 (Largo Spirito Santo). LIPSIA, BERLINO, VIENNA, presso F.A. Brockhaus. PARIGI, presso J. Boyveau, 22, rue de la Banque. DELLA MEDESIMA AUTRICE: Spostati , scene della vita... L. 1 — Il Principe della Marsiliana ROMANZO ROMANO DI EMMA PERODI MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1891. PROPRIETÀ LETTERARIA Riservati tutti i diritti. Milano.—Tip. Fratelli Treves. Indice I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII I. Dinanzi all'osteria di Muzio Scevola, in Trastevere, sventolavano un sabato sera le bandiere tricolori e quelle gialle a rosse del Comune di Roma, e dalle finestre delle casupole vicine pendevano tralci di lauro, ai quali erano appesi i lampioncini di più colori, pronti per la illuminazione. Sopra la porta dell'osteria vi era il ritratto di Garibaldi, circondato pure di lauro, e intorno a quello erano disposte le candele infilate nelle punte di ferro. {1} Sulla piazzetta davanti all'osteria stavano molti uomini aggruppati a capannelli e discutevano vivamente; alcuni appartenevano alla classe dei bottegai e portavano le catene d'oro pesanti attaccate ai primi bottoni della sottoveste, il corno di corallo penzoloni e le cravatte vistose; altri invece {2} appartenevano al ceto dei cittadini, e la maggior parte al popolo minuto. I cittadini, che erano in minor numero, andavano da un gruppo all'altro e posavano familiarmente la mano sulle spalle dei popolani. A un tratto, nel veder scendere da una botte un giovinotto sbarbato e vestito correttamente di saia turchina, tutte le conversazioni cessarono, i capannelli si scomposero e la folla si spinse verso di lui. Il giovinotto distribuiva strette di mano a tutti, salutando ciascuno per nome. —Signor Rosati!—dicevano le persone aggruppate intorno a lui rispondendo al saluto. —Come va? Che mi dite di nuovo?—domandava Fabio Rosati, rivolgendo uno sguardo d'intesa a tre o quattro cui la folla popolana pareva ubbidire. —In Borgo si può contare su cinquecento voti, non più,—disse il Simonetti, un omaccione grasso, che aveva bottega d'orzarolo vicino a piazza Rusticucci e godeva di molta popolarità fra i liberali di quel rione. —E dalle parti vostre come si sta?—domandava Fabio Rosati a Scortichino, il ricco oste di San Francesco a Ripa. —Benone, sor Fabio mio. Ieri sera avevo l'osteria piena di gente e dopo che ebbi parlato, come so parlar io, non fo per vantarmi, sa, e ebbi detto che {3} bevessero pure senza pensare al conto, tutti convennero che era meglio votare per Sua Eccellenza, che almeno aveva dato prova d'essere liberale in Campidoglio, piuttosto che per quel clericalone del de Petriis, che non ha mai fatto altro che portare la mantellina dei fratelloni dell'Angelo Custode, impiastricciare i cocci, e imbrogliare i forestieri. —Bravo Scortichino!—disse il Rosati con fare di protezione battendo sulla spalla al ricco oste.—E qui che notizie ci sono?—domandò a un uomo alto con una lunga barba e due occhi mansueti come quelli di un agnello. —Qui, trattandosi di un principe ci pensano due volte,—disse il sor Domenico, uomo popolarissimo, che vantava ancora l'amicizia di Garibaldi, si ricordava del Vascello e parlava dell'eroe con le lagrime agli occhi.—Qui ci vorrebbe qualcosa per ismuover questa gente, qualche colpo che rendesse popolare il principe della Marsiliana. —E quale, per esempio?—domandò il Rosati infilando il braccio in quello {4} del sor Domenico e guidandolo in disparte. —Qui, sor Fabio mio, il principe ha dei nemici. Dicono che non può essere liberale schietto con quella moglie. —E che fa la principessa?—chiese il Rosati fermandosi e guardando in faccia il sor Domenico. —Bazzica troppo dalle monache di Santa Rufina. Capirà, la carrozza tutti ce la vedono ogni giorno ferma per delle ore davanti al convento, tutti sanno che non aiuta altro che i baciapile e poi ha anche la riputazione di esser superba come tutti in casa Grimaldi. —E che cosa sapreste suggerirmi, sor Domenico, per riconquistare alla principessa le simpatie del Trastevere? —Una cosa sola: bisognerebbe che la principessa venisse stasera a cena all'osteria insieme col principe e domenica l'elezione di lui è assicurata. —Siete pazzo!—esclamò il Rosati mostrando con un gesto di ribrezzo quanto ripugnavagli di vedere la principessa della Marsiliana in quel luogo. —Eppure è l'unico mezzo,—diceva l'oste senza alterarsi, scrollando la bella testa mansueta.—È l'unico mezzo! —Ma ora è tardi. —No; lei corra a casa dal principe, gli riferisca questo suggerimento mio, e {5} gli dica che se non viene la principessa è inutile che venga neppur lui. Fabio Rosati stette un momento pensoso, con gli occhi fissi per terra, poi stendendo la mano al sor Domenico gli disse: —Credo che abbiate ragione;—e senza salutare nessuno risalì in botte e si fece condurre al palazzo del principe della Marsiliana. Nel passare sotto la porta carrozzabile per entrare nel cortile, Fabio domandava al guardaportone alto, solenne e tutto tronfio di portare la livrea della antica casa principesca, se Sua Eccellenza era tornata. Il guardaportone, senza aprir bocca, brandi la mazza con gesto da re di corona e accennò al Rosati il phaéton attaccato che aspettava il principe, e quindi riposò in terra la mazza e riprese a guardare con occhio sprezzante la gente che passava a piedi. Fabio salì di corsa le scale. Giunto nell'anticamera nella quale il trono, formato di arazzi portanti lo stemma della famiglia nel centro e le imprese del celebre cardinal Urbani, sulla parte laterale, occupava tutta una parete, si fermò e disse al servitore di guardia di annunziarlo, e senza aver la pazienza di attendere la risposta, si mise alle calcagna di lui per l'ampia galleria, nella {6} quale tutto un passato di deità olimpiche e d'imperatori romani parevano schierati per far gli onori a chi passava. Fabio non volse neppure uno sguardo su quei marmi preziosi; il suo occhio grande e dolce pareva che non provasse il bisogno di guardare nulla di ciò che lo circondava, che non ubbidisse a nessuna curiosità. Eppure era la prima volta che entrava in casa Urbani, o almeno in quella parte del palazzo riservata alla famiglia, poichè il principe aveva al pianterreno due stanze che guardavano sul Corso e nelle quali riceveva la mattina tutte le persone che non erano presentate alla principessa. Fabio Rosati, segretario di una quantità di comitati, nei quali figurava il nome del principe della Marsiliana, e anche del Circolo dei Cittadini di cui don Pio era presidente, aveva frequentissime occasioni di avvicinarlo. Svelto, intelligente, benchè privo affatto di cultura, rispettoso senza cortigianeria, e sopratutto buono e abile, Fabio era riuscito a conquistare l'animo di molti patrizii romani, e specialmente di don Pio, il quale ora aveva rimesso nelle mani di lui l'esito della sua elezione a deputato. Il servo si fermò in fondo alla galleria, dinanzi a una porta grigia tutta {7} coperta di dorature, e bussò leggermente. Il cameriere di fiducia del principe, un francese sbarbato, con gli occhiali che davano alla sua fisonomia l'aspetto di prete, comparve sull'uscio, e vedendo Fabio, che conosceva, lo pregò di entrare in un salottino precedente la camera del principe. Don Pio, appena udita la voce di Fabio, gli andò incontro e gli strinse cordialmente la mano. —Grazie di essermi venuto a prendere,—disse al Rosati.—Mi annoiava di giunger solo in mezzo a tutta quella gente. —Non vengo per questo,—rispose Fabio guardando in terra e non sapendo come riferire al principe le parole del sor Domenico. Dacchè era entrato nel palazzo sentiva maggiormente tutta la stranezza della proposta che doveva fare, e non aveva il coraggio di esprimerla. —Occorrono altre somme per le spese elettorali?—domandò il principe. —Me lo dica francamente; so quanto bevono gli elettori romani, e nulla mi stupisce. —No, no; ho ancora qualche migliaio di lire,—disse il Rosati sorridendo. {8} —Si tratta di una cosa molto più difficile a dirsi. —Me la dica subito,—insistè il principe senza turbarsi;—sono preparato a tutto. —Senta, il sor Domenico, l'oste di Muzio Scevola, dice che se stasera non viene la principessa insieme con lei, i voti del Trastevere le saranno per la massima parte negati. Il principe sorrise mettendosi il monocolo all'occhio sinistro, e guardò fisso il Rosati dicendo: —È una condizione curiosa e non so se donna Camilla l'accetterà; tenterò. Ma l'ora è passata già,—aggiunse il principe guardando una piccola pendola di smalto posata sopra la scrivania;—lei vada a far pazientare chi mi aspetta, io cercherò d'indurre la principessa a venir meco.—E accompagnando il Rosati nella galleria, don Pio penetrò nel salottino di sua moglie, e appena passata la soglia di quella stanza sparì dal volto di lui tutta l'espressione di dolce bonarietà, che aveva durante la conversazione col Rosati. La principessa nel vedere il marito si alzò e fece cenno a due monache di Santa Rufina, che erano sedute in faccia a lei, di lasciarla. —Che cosa vuoi?—domandò la piccola signora al marito
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