Le gloriose disfatte - article ; n°1 ; vol.109, pg 21-34
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Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée - Année 1997 - Volume 109 - Numéro 1 - Pages 21-34
Mario Isnenghi, Le gloriose disfatte, p. 21-34. Viene anzitutto individuata la serie di battaglie che può avere dato origine all'ossimoro proposto corne possibile chiave interpretativa di un rapporto degli Italiani con la dimensione militare. L'autore richiama l'attenzione su tre scontri in particolare : Dogali (1887) durante la prima guerra d'Africa, agli esordi del colonialismo del neo-costituito Regno d'Italia e del tentativo di avere accesso fra le Grandi Potenze. Gli altri due luoghi della memoria nazionale frustrata dallo scacco, ma alleviata da un certo tipo di autorappresentazione che non esclude la gloria, sono due momenti della seconda guerra mondiale sul fronte africano, quando viene meno il sogno di grandezza dell'Italia nazional-fascista : Giarabub (1941) e El Alamein (1942). L'a. passa quindi a mostrare i meccanismi e le conseguenze del fatto che le sconfitte, in Italia, siano (v. rétro) spesso amplificate in disfatte e vissute, altemativamente, o come gloriose o come ignominiose. Cita fra queste ultime i casi di Novara (1849), Custoza (1866) Lissa (1866), Adua (1896), sino a Caporetto (1917) destinata a imporsi corne caratterïzzante e proverbiale, in Italia e all'estero, quasicché la guerra fosse finita a quel punto e non vittoriosamente un anno dopo. Si punta quindi a individuare nel processo generativo dell'Italia unitaria le circostanze storiche - non solo militari - che possono avère contribuito a fissare la complessa figura simbolica della gloriosa disfatta. Si fa riferimento a Giuseppe Mazzini e a Giuseppe Garibaldi, che si possono ambedue considerare dei vincitori-vinti e dei vinti-vincitori. Vengono in quest'ordine di idee toccati episodi e figure esemplari dei Risorgimento, destinati a permanere nella memoria sociale delle generazioni a venire. Il testo si chiude con rapide incursioni analogiche negli anni della caduta dei fascismo e della sconfitta nella seconda guerra mondiale.
14 pages
Source : Persée ; Ministère de la jeunesse, de l’éducation nationale et de la recherche, Direction de l’enseignement supérieur, Sous-direction des bibliothèques et de la documentation.

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Publié le 01 janvier 1997
Nombre de lectures 46
Langue Italiano
Poids de l'ouvrage 1 Mo

Extrait

Mario Isnenghi
Le gloriose disfatte
In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée T. 109, N°1. 1997. pp. 21-34.
Riassunto
Mario Isnenghi, Le gloriose disfatte, p. 21-34.
Viene anzitutto individuata la serie di battaglie che può avere dato origine all'ossimoro proposto come possibile chiave
interpretativa di un rapporto degli Italiani con la dimensione militare.
L'autore richiama l'attenzione su tre scontri in particolare : Dogali (1887) durante la prima guerra d'Africa, agli esordi del
colonialismo del neo-costituito Regno d'Italia e del tentativo di avere accesso fra le Grandi Potenze. Gli altri due luoghi della
memoria nazionale frustrata dallo scacco, ma alleviata da un certo tipo di autorappresentazione che non esclude la gloria, sono
due momenti della seconda guerra mondiale sul fronte africano, quando viene meno il sogno di grandezza dell'Italia nazional-
fascista : Giarabub (1941) e El Alamein (1942). L'a. passa quindi a mostrare i meccanismi e le conseguenze del fatto che le
sconfitte, in Italia, siano
(v. retro) spesso amplificate in disfatte e vissute, alternativamente, o come gloriose o come ignominiose. Cita fra queste ultime i
casi di Novara (1849), Custoza (1866) Lissa (1866), Adua (1896), sino a Caporetto (1917) destinata a imporsi come
caratterizzante e proverbiale, in Italia e all'estero, quasicché la guerra fosse finita a quel punto e non vittoriosamente un anno
dopo.
Si punta quindi a individuare nel processo generativo dell'Italia unitaria le circostanze storiche - non solo militari - che possono
avere contribuito a fissare la complessa figura simbolica della gloriosa disfatta. Si fa riferimento a Giuseppe Mazzini e a
Giuseppe Garibaldi, che si possono ambedue considerare dei vincitori-vinti e dei vinti-vincitori. Vengono in quest'ordine di idee
toccati episodi e figure esemplari dei Risorgimento, destinati a permanere nella memoria sociale delle generazioni a venire.
Il testo si chiude con rapide incursioni analogiche negli anni della caduta dei fascismo e della sconfitta nella seconda guerra
mondiale.
Citer ce document / Cite this document :
Isnenghi Mario. Le gloriose disfatte. In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée T. 109, N°1. 1997. pp.
21-34.
doi : 10.3406/mefr.1997.4475
http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_1123-9891_1997_num_109_1_4475MARIO ISNENGHI
LE GLORIOSE DISFATTE
È buona norma che chi pensa un convegno individui anche gli studiosi
da sollecitare a qualche cosa di più della semplice amministrazione di una
competenza acquisita. Non posso sapere con esattezza che cosa, dal punto
di vista degli organizzatori, abbia legato mentalmente il mio nome al tema
e proprio a questa suggestiva e provocatoria formulazione del tema1; so
che le due parole e cose, unite - e proprio per la forza rivelativa di quella
improbabile giuntura - hanno fatto scattare in me un corto circuito che mi
ha condotto ora a compiere questa invasione di campo in area risorgiment
ista e a dire, seppure in iscorcio, di questioni che sono ben lungi dall'avere
approfondito in maniera sistematica, come d'altronde neanche altri si può
dire lo abbiano fatto, almeno nella prospettiva specifica indicata.
1. Anzitutto, quali sconfitte in particolare, quale serie caratteristica,
possono fare scattare quell'identificazione, rendere plausibile l'ossimoro?
A me, in prima battuta, sono balzati alla mente tre nomi, che sono altret
tanti luoghi della memoria, esulcerata e però, nel contempo, compensata
da una contestuale elaborazione dell'evento negativo in chiave di risarc
imento eroico : Dogali, Giarabub, El Alamein.
26 gennaio 1887. Una colonna composta di 540 militari italiani, più 50
cammellieri indigeni, al comando del tenente colonnello De Cristoforis,
viene attaccata dalle forze soverchianti di ras Alula e annientata. Si narra
che, agli ultimi sopravvissuti, il comandante abbia ordinato di presentare
le armi ai commilitoni, che anch'essi si apprestavano a raggiungere nella
morte. Vengono trucidati 407 soldati e 26 ufficiali; feriti gli altri. L'impres
sione nel Paese, l'impatto sulle istituzioni sono enormi. Si dimettono im
mediatamente il ministro degli Esteri e il ministro della Guerra, ma in po
chi giorni la crisi travolge e conduce alle dimissioni l'intero ministero. Ques
to Γ« eccidio» di Dogali - l'espressione stessa di eccidio, nella sua
1 Più che a / vinti di Caporetto, Venezia, 1967, dove v'è poca 'gloria' per tutti,
penso che il riferimento sia a Le guerre degli Italiani. Parole immagini ricordi 1848-
1945, Milano, 1989 e ai saggi su Garibaldi.
MEFRIM - 109 - 1997 - 1, p. 21-34. MARIO ISNENGHI 22
assolutezza e insieme indeterminazione, attinge alla fissità oleografica di
una sinistra frase fatta -, che marca dall'inizio la tormentata vicenda del
l'Italia in Africa, fra smacco e rivendicazione e fra recriminazioni ed enfasi.
Ancora all'Africa - al termine del breve ciclo coloniale italiano e del-
l'ancor più fulminea parabola dell'Impero - rimandano i due luoghi di me
moria2 della seconda guerra mondiale, l'oasi cirenaica di Giarabub (1941) e
la battaglia di El Alamein (1942).
Dogali tiene almeno per mezzo secolo, ripresa e rifunzionalizzata dalla
guerra di Libia e dalla guerra d'Etiopia. Giarabub ha un ciclo di visibilità
pubblica decisamente più breve : viene inghiottita dalla guerra perduta e
dalla fine e riconversione politico-militare sia della guerra che dell'Italia.
Oltre che nei cineclub, con il film omonimo e coevo di Goffredo Alessandri
ni {Giarabub, 1942), quel nome viene custodito nel patrimonio mentale di
una generazione di reduci3 e riaffiora pateticamente a tratti grazie al canto
straziante e tuttavia risibile, troppo scoperto nella sua disperata vena an-
tiinglese, ormai smentita dai fatti. Ricordate?
Colonnello, non voglio pane,/ dammi piombo pel mio moschetto (...) Colonn
ello, non voglio l'acqua/dammi il fuoco distruggitore (...) Colonnello, non vo
glio il cambio ./qui nessuno ritorna indietro, /non si cede neppure un metro/ se
la morte non passerà. (...).
Alla fine, infatti, non rimangono che morti. Ma quei morti si ostinano
nonostante tutto a cantare, che «la fine dell'Inghilterra/incomincia da Gia
rabub.»4.
Testo eroico, masochista e struggente nel patente velleitarismo della
sua contraddetta retorica, cui la musica aggiunge - in stile - epos, anch'ess
o, patetico.
L'autorappresentazione di due e tre anni dopo, maturata dall'interno
delle file politicamente e psicologicamente affini di chi ha scelto di morire
restando fedele al fascismo dell'ora estrema, conferma - talvolta anche con
assoluta lucidità - questo intreccio impudico di lutto e di canto5, alla «pro-
comberò sol io», per rifarci a un luogo scolastico leopardiano temperamen-
talmente congeniale.
El Alamein è destinata a mantenere, nel secondo dopoguerra, una visi-
2 Nell'accezione dei lieux de mémoire di Pierre Nora.
3 Secondo la coordinate di Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, trad, it.,
a cura di Paolo Jedlowski, Milano, 1987. Manca ancora uno studio specifico condot
to nella prospettiva della memoria.
4 Virgilio Savona e Michele L. Straniero, Canti dell'Italia fascista, Milano, 1979.
5 Esemplare il romanzo di memoria di Carlo Mazzantini, A cercare la bella
morte, Milano, 1986. LE GLORIOSE DISFATTE 23
bilità maggiore e meno separata, meno ristretta ai meandri della faziosa e
recriminante contromemoria dei vinti. Costituisce infatti una prova sentita
come militarmente e patriotticamente rivendicabile - dissociabile dal suo
contesto politico e non affondata in una con il fascismo - e ha dato origine
all'unico monumento ai Caduti all'estero e uno dei non molti della seconda
guerra mondiale. Coltiva i suoi anniversari rimanendo in tutto questo mez
zo secolo meta di pellegrinaggi di reduci e di familiari.
2. Sono queste le prime gloriose disfatte (l'inversione - più eloquente -
è praticamente d'obbligo) che scattano nella memoria : quelle che possono
legittimare l'assunto di una specificità italiana in materia, quale - stando al
gioco - posso immaginare si sia affacciata alla mente degli organizzatori. Il
che - essendo essi anche dell'École française e parlando noi a Roma, ma
ospiti dell'École - finisce per involgere questioni di politica dell'immaginar
io e visioni reciprocamente stereotipate nei rapporti fra popolo e popolo,
dalla cui complessità - che pure ci accadrà di sfiorare - noi, qui, non pos
siamo che ritrarci in buon ordine.
In realtà, tale specificità implica un impianto dualistico, una polariz
zazione che potremmo esprimere così : le sconfitte italiane nell'Otto e No
vecento - già reduplicate dall'uso del più sonoro e dilatato disfatte - sono,
cioè vengono vissute ed entrano nei viluppi della memoria, ο come gloriose
ο come ignominiose. Generalmente non sono - vale a dire - sconfitte e ba
sta (Adesso, magari, potremmo dire sconfitte normal

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