Raggio di Dio
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Publié le 08 décembre 2010
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The Project Gutenberg eBook, Raggio di Dio, by Anton Giulio Barrili This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org Title: Raggio di Dio Author: Anton Giulio Barrili Release Date: January 25, 2010 [eBook #31077] Language: Italian Character set encoding: ISO-8859-1 ***START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK RAGGIO DI DIO*** E-text prepared by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, and the Project Gutenberg Online Distributed Proofreading Team (http://www.pgdp.net) from scanned images of public domain material generously made available by the Google Books Library Project (http://books.google.com/) Note: Images of the original pages are available through the the Google Books Library Project. See http://books.google.com/books? id=HFM0AAAAMAAJ&oe=UTF-8 RAGGIO DI DIO. OPERE di A. G. BARRILI. Capitan Dodéro (1865). 12.ª ediz. Santa Cecilia (1866). 10.ª ediz. Il libro nero (1868). 4.ª ediz. I Rossi e i Neri (1870). 5.ª ediz. (2 vol.) Le confessioni di Fra Gualberto (1873). 12.ª ediz. Val d’olivi (1873). 12ª edizione. Semiramide, racconto babilonese (1873). 8.ª ediz. La notte del commendatore (1875). 2.ª ediz. Castel Gavone (1875). 9.ª ediz. Come un sogno (1875). 21.ª ediz. Cuor di ferro e cuor d’oro (1877). 16.ª ediz. (2 vol.) Tizio Caio Sempronio (1877). 2.ª ediz. L’olmo e l’edera (1877). 18.ª ediz. Diana degli Embriaci (1877). 2.ª ediz. Lutezia (1878). 2.ª ediz. La conquista d’Alessandro (1879). 2.ª ediz. Il tesoro di Goleonda (1879). 10.ª ediz. Il merlo Bianco (1879). 2.ª ediz. — Edizione illustrata (1890). 5.ª ediz. La donna di picche (1880). 4.ª ediz. L’undecimo comandamento (1881). 10.ª ediz. Il ritratto del Diavolo (1882). 3.ª ediz. Il biancospino (1882). 9.ª ediz. L’anello di Salomone (1883). 3.ª ediz. O tutto o nulla (1883). 2.ª ediz. Fior di Mughetto (1883). 4.ª ediz. Dalla Rupe (1884). 3.ª ediz. Il conte Rosso (1884). 3.ª ediz. Amori alla macchia (1884). 3.ª ediz. Monsù Tomè (1885). 3.ª ediz. Il lettore della principessa (1885). 3.ª ediz. — Edizione illustrata (1891) L. 1 — 1— 2— 2— 1— 1— 1— 4— 1— 1— 2— 3 50 1— 3— 2— 4— 1— 3 50 5— 1— 1— 3— 1— 3 50 3 50 3 50 3 50 3 50 3 50 3 50 4— 5— Victor Hugo, discorso (1885) Casa Polidori (1886). 2.ª ediz. La Montanara (1886). 6.ª ediz. — Edizione illustrata (1893) Uomini e bestie (1886). 2.ª ediz. Arrigo il Savio (1886). 2.ª ediz. La spada di fuoco (1887). 2.ª ediz. Il giudizio di Dio (1887) Zio Cesare, commedia in cinque atti (1888) Il Dantino (1888). 3.ª ediz. La signora Àutari (1888). 3.ª ediz. La Sirena (1889) 2.ª ediz. Scudi e corone (1890). 2.ª ediz. Amori antichi (1890). 2.ª ediz. Rosa di Gerico (1891). 3.ª ediz. La bella Graziana (1892). 2.ª ediz. — Edizione illustrata (1893) Le due Beatrici (1892) 2.ª ediz. Terra Vergine (1892). 3.ª ediz. I figli del cielo (1893) 3.ª ediz. La Castellana (1894). 2.ª ediz. Fior d’oro (1895) Con Garibaldi, alle porte di Roma, ricordi (1895) Il Prato Maledetto (1895) Galatea (1896). 3.ª ediz. Diamante nero (1897) Sorrisi di gioventù (1898). 2.ª ediz. Raggio di Dio (1899) 2 50 4— 2— 5— 3 50 3 50 4— 4— 1 20 3 50 3 50 1— 4— 4— 1— 3 50 3 50 3 50 3 50 3 50 3 50 3 50 4— 3 50 1— 3 50 3— 3 50 RAGGIO DI DIO ROMANZO DI ANTON GIULIO BARRILI MILANO F R AT ELLI T 8 R EVES , E . D IT O R I 1 9 9 PROPRIETÀ LETTERARIA I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compreso il Regno di Svezia e di Norvegia. Tip. Fratelli Treves. I N D I C E Pag. 1 19 37 58 75 93 111 131 148 . I. Un bel sogno avverato II. Ambasciator non porta pena III. I commentarii di Cesare IV. L’epistolario di Cicerone V. Al soccorso di Pisa VI. Filemone e Bauci VII. “Dove amore non è, più nulla è il resto„ VIII. Dolenti note IX. Spera di sole X. Soy Bovadilla XI. Invito a palazzo XII. La Sfinge regale XIII. Si viene a mezza spada XIV. A Laredo! a Laredo! XV. Il ragno e la sua tela XVI. Grazia, giustizia, e un granellin di follìa XVII. Sposi novelli XVIII. In manus tuas, Domine..... XIX. Quel che s’incontra per via XX. Raggio di Dio 166 187 203 221 241 258 276 294 316 336 357 [1] RAGGIO DI DIO Indice CAPITOLO PRIMO. U n b e l s o g n o “E andando da Chiavari a Lavagna, occorre in poca distanza il fiume nominato dagli antichi Entella, e dai moderni Lavagna; il quale ha la sua origine nel monte Appennino, di qua dalla terra di Torriglia in le confine di Bargagli e di Roccatagliata: e muoiono in questo fiume, Graveglia, Ollo e Sturla, torrenti che alcuna volta vengono con furia„. Grazie, monsignor Giustiniani, vescovo di Nebbio e annalista di Genova; grazie infinite, e basta così. È la “fiumana bella„ di Dante Alighieri, certamente la più bella di Liguria; e bene l’ha dichiarata tale il divino poeta, che le vide tutte, quante ce n’erano “tra Lerici e Turbìa„, ma su questa si trattenne più a lungo, guardandone dal ponte della Maddalena il largo specchio azzurrino, con le due file di pioppi che ne accompagnavano il corso. Ma noi non ci fermeremo qui, come il grand’esule fiorentino; risaliremo la fiumana bella fino al confluente del Graveglia, dov’essa fa una gran curva, per voltar poi risoluta a ponente maestro; e lì faremo alto ai Paggi, come ora si dice, e dove nell’anno di grazia 1506 durava ancora in ottimo stato un castello dei Fieschi. In altri tempi s’era chiamato la Guaita; più tardi, con lieve mutamento, la Guardia. E meritava il suo nome, stando là come una scolta avanzata di tutte le terre Appenniniche ond’era formato il dominio dei Fieschi, gran ventaglio di borghi e castella che dalla Scrivia si stendeva alla Magra, includendo Casella, Savignone, Montobbio, Torriglia, Valdetaro, Santo Stefano d’Aveto, Varese, Pontremoli; e chi più n’ha ne metta, andando fin oltre i cinquanta. Passavano infatti questo numero le terre murate dei Fieschi; tenute con varia fortuna, s’intende, come in tempi guasti doveva accadere; onde i cinquanta e più feudi contigui scesero qualche volta a trentatrè, facendo ancora quel che si dice comunemente un bel numero. Gran gente, quei conti di Lavagna! Disputata un pezzo al Comune di Genova la terra onde traevano il titolo maggiore e più caro, vedutosi fabbricare all’incontro, nel 1167, il castello di Chiavari, indi a trentun anno cedevano quel feudo invidiato, diventando nobili genovesi, e ben presto una delle quattro grandi famiglie potenti e prepotenti della Repubblica. Ricchi di capitani e d’ammiragli, come di cardinali e di papi, ora ripigliavano le terre perdute, ora altre ne acquistavano, a ristorarsi dei danni. Al tempo di cui raccontiamo, erano già molti rami di Fieschi, ma tutti strettamente collegati d’interessi, sotto gli auspicii del ramo principale, rappresentato allora da Gian Aloise, signor di Pontremoli, di Varsi, di Loano, di Montobbio; principe di Valdetaro e conte di San Valentino; marchese di Torriglia, Varese, Santo Stefano d’Aveto, Calestano, Vigolzone, Gremiasco, San Sebastiano, e via discorrendo per un pezzo; un gran signore, a farla breve, superiore nel tempo suo agli altri tutti d’Italia per ampiezza di dominio, e quasi un piccolo re. In Genova, tanta era la sua autorità, sedeva per decreto sugli anziani, e gli si davano i titoli d’illustre e di eccelso, come ai principi di corona. Con queste fortune al casato e con le politiche necessità che ne conseguivano, la Guardia aveva riconquistata una parte dell’antica sua importanza militare. Il padrone era un valoroso; ma in patria non aveva fatto niente di notevole, e per quello che aveva fatto in terre lontane si poteva dire che riposasse sugli allori. Avrebbe difesa strenuamente la sua rocca, se mai fosse stata minacciata: per intanto l’aveva battezzata Gioiosa Guardia, in omaggio al cavalier Lancillotto di romanzesca memoria, ma più alla bellissima donna che da un anno aveva fatta signora del castello, impalmandola con rito solenne e con gran pompa comitale nella vicina chiesa di San Salvatore. Era dunque gioiosa, la Guardia, per decreto recente del suo felice padrone. Ma non corrispondeva alla bellezza dell’epiteto la faccia smunta del suo custode, o gastaldo che vogliam dirlo, non potendo, per la presenza del legittimo signore, decorarlo del sonoro titolo di castellano. E nondimeno, quel gastaldo decorava l’ufficio con la misurata gravità dell’aspetto; a cui, nel pomeriggio del 5 marzo 1506, si poteva aggiungere la composta dignità dell’atteggiamento, quantunque egli fosse modestamente seduto sovra una panca, entro la prima cinta del castello, assistendo ad una partita di pallone, [2] [3] [4] caldamente impegnata fra sei giuocatori. Diciamo di passata che cinque di essi erano uomini d’arme del castello, e il sesto un frate francescano, come appariva dalla tonaca, saviamente raccorciata a mezza gamba coll’aiuto del fido cordone, su cui ella veniva a far grembo. Quanto al nostro personaggio, vediamo di abbozzarne in pochi segni l’asciutta figura. Appoggiate le mani scarne ma forti sul pomo della spada; accavalciate le gambe lunghe, che mettevano in mostra due stivaloni di cuoio cordovano e due calze divisate di bianco e d’azzurro; ritto il busto nel suo giubbone attillato di cuoio, donde uscivano le maniche di lana, divisate anch’esse dei due colori di casa Fiesca; ritta la testa che pareva tutta in fiamme pel colore della barba e dei capelli rosseggianti al sole; tirata un po’ indietro sul cocuzzolo la berretta, anch’essa di cuoio, con larghe frappe di bianco e d’azzurro, sormontata da una gran penna lionata di pavone, il nostro personaggio aveva una bell’aria di vecchio soldato in licenza, felice d’un po’ di riposo, ma pronto a gittar la berretta per calzar la barbuta. Non era bello, no davvero; aveva troppo scarno il viso lungo, e gli occhi grigi, quasi bianchi, sotto le ispide sopracciglia rossigne: il naso, poi, che incominciava colla buona intenzione di parere aquilino, finiva in una pallottola ros
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