Poesiana - Gli altri Racconti di Poe
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Edgar Allan Poe Gli altri Racconti Traduzioni diBeldemonio © ClaireHennoire 2009-2015 Opera originale nel Pubblico Dominio All Rights Reserved Worldwide - Tous droits réservés Tutti i diritti riservati sulla presente traduzione in italiano. www.clairehennoire.tk SEPOLTO VIVO The premature burial Ci sono temi di un interesse proprio intrigante, ma che son troppo orribili per diventare il soggetto di un'opera di finzione regolare. Questi soggetti, i romanzieri seri devono evitarli, se non vogliono turbare o disgustare. Essi non possono convenientemente esser messi in opera, se non sono sostenuti, e dunque santificati, dalla severità e la maestà della verità. Io non ho bisogno di ricordare al lettore, che avrei potuto, nel lungo elenco delle miserie umane, scegliere molti esempi individuali più colmi di una vera sofferenza che le catastrofi collettive. La vera miseria, il colmo del dolore, è qualcosa di privato, non generico. Se l'estremo dell'orrore nell'agonia è cosa dell'uomo, e non della massa, ringraziamo la misericordia di Dio ! Essere seppellito vivo, è sicuramente la più terribile delle avventure che possa mai sperimentare una creatura mortale. I limiti che separano la vita dalla morte sono quanto meno indecisi e vaghi. Chi può dire dove l'una comincia e dove l'altra finisce ?

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Publié le 23 décembre 2015
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Langue Italiano

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Edgar Allan Poe
Gli altri Racconti
Traduzioni diBeldemonio
© ClaireHennoire 2009-2015
Opera originale nel Pubblico Dominio
All Rights Reserved Worldwide - Tous droits réservés Tutti i diritti riservati sulla presente traduzione in italiano.
www.clairehennoire.tk
SEPOLTO VIVO
The premature burial
Ci sono temi di un interesse proprio intrigante, ma che son troppo orribili per diventare il soggetto di un'opera di finzione regolare.
Questi soggetti, i romanzieri seri devono evitarli, se non vogliono turbare o disgustare.
Essi non possono convenientemente esser messi in opera, se non sono sostenuti, e dunque santificati, dalla severità e la maestà della verità.
Io non ho bisogno di ricordare al lettore, che avrei potuto, nel lungo elenco delle miserie umane, scegliere molti esempi individuali più colmi di una vera sofferenza che le catastrofi collettive.
La vera miseria, il colmo del dolore, è qualcosa di privato, non generico. Se l'estremo dell'orrore nell'agonia è cosa dell'uomo, e non della massa,
ringraziamo la misericordia di Dio !
Essere seppellito vivo, è sicuramente la più terribile delle avventure che possa mai sperimentare una creatura mortale.
I limiti che separano la vita dalla morte sono quanto meno indecisi e vaghi. Chi può dire dove l'una comincia e dove l'altra finisce ?
Sappiamo di certi svenimenti, dove ogni apparenza di vitalità sembra cessare interamente, e tuttavia questa cessazione è, propriamente, una pura sospensione, una pausa momentanea nell'incomprensibile meccanismo della nostra vita.
Io potrei riferire, se necessario, un centinaio di esempi autentici.
Uno di que' esempi, di un carattere rimarchevole, e le cui circostanze possono essere ancora fresche nel ricordo di qualcuno dei miei lettori, s'è presentato non da molto nella città di Baltimora e ha prodotto una dolorosa, intensa e generale emozione.
La moglie di uno dei suoi più rispettabili cittadini, un legale eminente, membro del Congresso, fu colpita improvvisamente da un inesplicabile malattia.
Dopo aver molto sofferto, morì, o fu creduta morta,e non c'era motivo di immaginare che non lo fosse.
Ella presentava tutti i sintomi ordinari della morte. La faccia aveva i tratti tesi. Le labbra avevano un pallore simile al marmo.
Gli occhi erano bui. Nessun calore. Il polso aveva cessato di battere. Si conservò per tre giorni il corpo senza seppellirlo, e in questo lasso di tempo acquisì una rigidità di pietra.
S'affrettò allora la sepoltura dato il presunto stato di decomposizione.
La dama fu deposta nel sepolcro di famiglia, e non fu turbata nei tre anni seguenti. In capo a quei tre anni, si aprì il sepolcro per deporre un sarcofago.
Che terribile scossa attendeva il marito che aprì la porta !
Al momento in cui si chiudeva dietro lui, un oggetto vestito di bianco cadde con fracasso nelle sue braccia.
Era lo scheletro di sua moglie nel suo sudario ancora intatto.
Ricerche minuziose provarono evidentemente che era risuscitata nei due giorni che seguirono la sua inumazione, che gli sforzi che aveva fatti nella bara le avevano quasi permesso di sfuggire alla morte.
Sul più alto degli scalini che scendevano in quel orribile soggiorno,si trovava un largo frammento della bara, di cui ella sembrava essersi servita per attirare l'attenzione colpendo la porta di ferro.
E' probabilmente nel mezzo di questa bisogna che svenì, o morì di puro terrore.
Ella restò in quella posizione e andò in putrefazione.
Nell'anno 1810, un caso di inumazione di una persona viva capitò in Francia, accompagnato da circostanze che provavano, molto bene, che la realtà è spesso più strana che la finzione.
L'eroina della storia era la damigella Victorine Lafourcade, fanciulla di illustre nascita, ricca, e di una grande bellezza.
Tra i suoi numerosi pretendenti, Julien Bossuet, un povero scrittore o giornalista di Parigi.
I suoi talenti e la sua amabilità l'avevano evidenziato all'attenzione della ricca ereditiera, che sembrava provare per lui un vero amore.
Ma il suo orgoglio di casta la decise finalmente a congedarlo, per poi sposare il signor Renelle, banchiere, e diplomatico di qualche merito.
Una volta sposatala, quel signore la trascurò, o persino la maltrattò brutalmente.
Dopo aver passato con lui qualche anno miserabile, morì o almeno il suo stato assomigliava alla morte.
Fu seppellita non in un sepolcro, ma in una fossa ordinaria, nel suo villaggio natale.
Disperato, e sempre bruciando del ricordo della sua grande passione, l'innamorato lasciò la capitale e giunse in questa provincia lontana, dove riposava la sua bella, col romantico disegno di disseppellire il suo corpo e di impossessarsi della sua capigliatura.
Egli giunse alla tomba.
A mezzanotte egli dissotterrò la bara, l'aprì, e si mise a staccare la capigliatura, quando si fermò, vedendo aprirsi gli occhi della sua beneamata.
La dama era stata seppellita viva.
La vitalità non era ancora completamente sparita, e le carezze del suo amante finirono di risvegliarla dal coma.
Questi la portò freneticamente alla sua abitazione nel villaggio.
Infine, ella ritornò alla vita e riconobbe il suo salvatore, restò con lui fino a che, poco a poco, ebbe ritrovato le forze.
Ella non tornò più dal marito, ma gli nascose la sua risurrezione,e fuggì con il suo amante in America.
Vent'anni dopo, rientrarono tutti e due in Francia, persuasi che il tempo aveva abbastanza alterato i tratti della dama, e non fosse più riconoscibile ai suoi amici.
Essi si sbagliavano ; in quanto al primo incontro il signor Renelle riconobbe sua moglie e la reclamò.
Ella seppe resistere; un tribunale la sostenne nella sua resistenza, e decise che quelle circostanze particolari, unite al lungo lasso di tempo trascorso, avevano annullato, non solo dal punto di vista dell'equità, ma anche quello della legalità, i diritti del suo sposo.
Il « Giornale Chirurgico » di Lipsia, riferisce in uno dei suoi ultimi numeri un caso analogo veramente terribile.
Un ufficiale artigliere, di statura gigantesca, e della più robusta salute, essendo stato disarcionato da un cavallo intrattabile, ne ricevette una grave contusione alla testa, che lo rese insensibile.
Il cranio era lievemente fratturato, ma non si temeva immediato pericolo di vita.
Gli praticarono con successo una trapanazione. Lo salassarono, e si adoperò ogni altro mezzo solito in simili casi.
Tuttavia, poco a poco, cadde in uno stato di insensibilità sempre più disperato, cosicche lo credettero morto.
Siccome faceva molto caldo, venne sepolto con fretta indecente in uno dei cimiteri pubblici.
I funerali ebbero luogo un giovedì.
La domenica seguente, come ovvio, ci fu grande folla di visitatori al cimitero; e verso mezzogiorno, l'emozione fu forte, quando si sentì un contadino dichiarare che sulla tomba dell'ufficiale, aveva distintamente senti una commozione del suolo, come se qualcuno si dibattesse sotto terra.
Dapprima non si fece molta attenzione al dire di quell'uomo; ma il suo terrore evidente, la sua ostinazione a sostenere la sua storia produssero presto sulla folla un effetto.
La bara era a pelo di terra e in qualche minuto il defunto apparve.
Egli aveva tutte le apparenze di un morto,ma era quasi ritto nella sua bara, di cui aveva, a forza di furiosi sforzi, in parte sollevato il coperchio.
Lo trasportarono subito all'ospedale più vicino, dove si scoprì che era ancora vivo, benchè in stato di asfissia.
Qualche ora dopo tornava alla vita, riconosceva i suoi amici, e
parlava dell'agonia che aveva provato nel sepolcro.
Dal suo racconto risulta chiaramente che aveva avuto coscienza del suo stato per più di un'ora dopo la sua inumazione, prima di cadere nell'insensibilità.
Mi ricordo di un caso ben conosciuto e straordinario, che capitò nel 1831, e destò allora nel pubblico una profonda sensazione.
Il paziente, Edward Stapleton, era morto in apparenza di febbre tifoide, accompagnata da qualche sintomo inusuale, che aveva eccitato la curiosità di uno dei medici che lo curavano.
Dopo il suo decesso presunto, si chiese ai parenti di autorizzare un esame del corpo post-mortem; ma si rifiutarono.
Come capita spesso in presenza di simili rifiuti, i dottori decisero di esumare il corpo, e di sezionarlo a piacere, privatamente.
Essi si accordarono senza pena con una delle numerose società di becchini che abbondano a Londra; e nella terza notte dopo i funerali il presunto cadavere fu dissotterrato dalla sua bara, e deposto nella sala operatoria di un ospedale privato.
La notte avanzava e si giudicò utile procedere alla dissezione.
Un incisione fu praticata nel ventre quando, data la freschezza e lo stato intatto degli organi, si applicò una batteria elettrica.
Uno studente, particolarmente desideroso di sperimentare una teoria insistè per che si applicasse la batteria a uno dei muscoli del petto.
Il paziente, con un movimento brusco, senza alcuna convulsione, s'alzò dal tavolo,camminò in mezzo alla camera, guardò attorno a lui per qualche secondo, e si mise a parlare.
Dopo di che, cadde pesantemente sul pavimento.
Per qualche istante il terrore paralizzò gli astanti; ma il fatto gli rese presto la presenza di spirito.
Era evidente che Stapleton era vivo, benchè svenuto.
I vapori dell'etere lo riportarono alla coscienza; fu rapidamente reso alla vita e ai suoi amici.
Che si giudichi del loro stupore !
Ma quel che è più sbalorditivo in quella vicenda,sono le asserzioni di Stapleton stesso.
Egli dichiarò che non vi fu momento dove sia stato completamente insensibile, che aveva avuto una coscienza confusa e vaga di quel
che gli capitava, a partire dal momento in cui il medico lo dichiaro morto, fino a quando cadde svenuto sul pavimento.
« Io sono vivo » erano le parole inascoltate, che aveva tentato di pronunciare, rendendosi conto che la sala dove si trovava era un gabinetto di autopsie.
Sarebbe facile moltiplicare queste storie; ma me ne asterrò; non sono necessarie a chiarire la realtà delle inumazioni premature.
In verità,capita raramente che si frughi un cimitero,senza che si trovi scheletri in posture atte a suggerire i più terribili sospetti.
Sospetti terribili infatti; ma un destino più terribile ancora !
Si può affermare senza esitazione, che nessun altro avvenimento è più terribilmente proprio a ispirare il colmo della pena fisica e morale che essere seppellito vivo.
Non conosciamo sulla terra un'altra simile agonia, non possiamo immaginare nulla di altrettanto orrendo nel regno degli inferi.
Ciò che sto per dire, deriva dalla mia conoscenza, ed esperienza reale e personale.
Per molti anni sono stato soggetto ad attacchi di un male strano che i medici si sono accordati a chiamare catalessi.
Talvolta il paziente non resta che un giorno, o pure meno a lungo ancora, in una specie di letargia eccessiva.
Egli ha perduto la sensibilità, è senza movimento, ma le pulsazioni del cuore sono ancora debolmente percettibili; rimane una qualche traccia di calore ; una leggera tinta colora ancora le guance; e se applichiamo uno specchio alle labbra, possiamo scoprire una certa azione dei polmoni, pesante, ineguale e vacillante.
Altre volte, la crisi dura delle settimane intere, pure dei mesi ; e un medico non può giungere a stabilire una distinzione sensibile tra lo stato del paziente, e colui che consideriamo come lo stato di morte assoluta.
Di solito non sfugge alla sepoltura prematura, che grazie ai suoi cari, che sanno che è soggetto alla catalessi, grazie ai sospetti che sono dovuti a questa conoscenza, e sopratutto, all'assenza sulla sua persona di ogni sintomo di decomposizione.
I progressi della malattia sono, fortunatamente, graduali. Le prime manifestazioni, benchè marcate, sono equivoche.
Gli accessi diventano in seguito sempre più distinti e prolungati.
E' in questa azione la più grande sicurezza contro l'inumazione.
Lo sfortunato, il cui primo attacco rivestisse i caratteri estremi, come si vede talvolta, sarebbe quasi inevitabilmente condannato a essere seppellito vivo.
Talvolta, senza causa apparente cadevo poco a poco in uno stato di sincope o di mezzo svenimento; e restavo in questo stato senza dolore, senza potermi muovere, nè pure pensare, ma conservando una coscienza letargica della mia vita e della presenza di persone che circondavano il mio letto, fino a quando la crisi della malattia mi rendesse di colpo a uno stato di sensazione normale.
Io mi svegliavo, tuttavia, da quegli attacchi poco a poco e con una lentezza proporzionata alla violenza dell'accesso.
A parte questa predisposizione agli attacchi, la mia salute pareva buona ; e non poteva dirsi affetta da male predominante, a meno di considerare come effetto una idiosincrasia che si manifestava durante il mio sonno.
In tutto quel che sopportavo così non c'era una sofferenza fisica, ma un infinita pena morale.
Io mi perdevo in pensieri di morte, e l'idea di essere sepolto vivo non cessava di occupare il mio cervello.
Lo spettro del pericolo mi infestava giorno e notte.
Di giorno, questo pensiero era una tortura, e di notte, un agonia.
Quando la natura non poteva più resistere al sonno, era con una violenta repulsione che potevo dormire, in quanto rabbrividivo se pensavo che al mio risveglio, potevo ritrovarmi in una tomba.
Tra gli innumerevoli e oscuri incubi che mi opprimevano in sogno, non ricorderò che una sola visione.
Mi sembrò di essere immerso in una crisi più lunga e più profonda che al solito.
Di colpo senti posarsi sulla mia fronte una mano gelida, e una voce impaziente e malarticolata mormorò al mio orecchio questa parola :
- Alzati !
Mi alzai in piedi. La oscurità era completa. Io non potevo vedere il viso di colui che mi aveva svegliato; non potevo ricordarmi nè il momento in cui ero caduto in questa crisi, nè il luogo dove mi trovavo allora.
- Alzati ! Non ti ho ordinato di alzarti ?
- E chi sei ? domandai.
- Io non ho nome nelle regioni che abito, riprese la voce, lugubre. Io ero mortale, ma sono un demone. Io ero senza pietà, ma sono pieno di compassione.
Senti che tremo, i miei denti stridono, mentre ti parlo, e tuttavia non è per il freddo della notte, della notte senza fine.
Ma quest'orrore è intollerabile. Come posso dormire in pace ? io non posso riposare ascoltando il grido di queste grandi agonie.
Alzati ! Vieni con me nella notte esterna, e lasciami mostrare le tombe. Non è uno spettacolo deplorevole ? Guarda.
Io guardai; e la figura invisibile, tenandomi sempre al polso, aveva fatto aprire le tombe, e di ognuna uscì una debole fosforescenza di decomposizione, che mi permise di penetrare collo sguardo nei meandri più segreti, e di contemplare i corpi avvolti del sudario, nel loro triste e solenne sonno in compagnia dei vermi !
Ma ahimè ! quelli che dormivano di un vero sonno erano milioni di volte meno numerosi che quelli che non dormivano per niente. E mentre guardavo, la voce mi disse ancora :
« Oh ! non è una vista penosa ? »
Ma prima che avessi potuto trovare una risposta, lo spettro aveva cessato di stringermi il polso; i lumi fosforescenti svanirono, e le tombe si chiusero di colpo con violenza, mentre dal loro profondo usciva un tumulto di grida disperate, che ripetevano :
« Non è vero, o Dio ! non è una vista penosa ? »
Queste apparizioni fantastiche che mi assalivano la notte estesero presto fino sulle mie ore di veglia la loro terrificante influenza.
I miei nervi si tesero del tutto, fui preso da un orrore perpetuo.
Di fatto, non osavo più allontanarmi da quelli che conoscevano la mia disposizione alla catalessi, per paura che, cadendo in uno dei miei accessi soliti, non fossi seppellito prima che si fosse potuto costatare il mio vero stato.
Invano cercarono di rassicurarmi colle promesse più solenni.
Gli feci dire il più sacro dei giuramenti, che, qualsiasi cosa potesse capitare, non avrebbero permesso la mia inumazione, che quando la decomposizione del mio corpo fosse stata abbastanza avanzata per rendere impossibile il ritorno alla vita; e malgrado tutto, i miei terrori mortali non volevano sentire nessuna ragione, accettare nessuna consolazione.
Mi misi allora a immaginare tutta una serie di precauzioni.
Tra le altre cose, feci ristrutturare il sepolcro di famiglia, in modo
che potesse facilmente essere aperto dall'interno.
C'erano anche delle precauzioni prese per lasciare libero ingresso all'aria e alla luce, per avere del cibo e dell'acqua, a portata della bara destinata a ricevermi.
La bara era abbondantemente imbottita, e munita di un coperchio a mò di porta, cioè munito di cardini, che al più debole movimento del corpo consentisse di uscire.
Di più avevo fatto pendere alla volta del sepolcro un campanaccio, la cui corda doveva passare da un buco nella bara e essere legata a una delle mie mani .
Ma, ahimè ! che può fare la vigilanza contro il nostro destino !
Tutte quelle precauzioni così ben studiate dovevano esser inutili a salvare un disgraziato condannato a esser sepolto vivo !
Poi feci il primo sforzo positivo per pensare.
Io mi ricordai che sono soggetto alla catalessi.
Per qualche minuto, restai senza muovermi. Non avevo il coraggio di muovermi. Io non osavo fare lo sforzo necessario per rendermi conto del mio destino; e tuttavia c'era qualcosa nel mio cuore che mi mormorava che era vero.
La disperazione, una disperazione che nessun altro orrore può ispirare a un essere umano, solo la disperazione mi spinse dopo una lunga esitazione a sollevare le grevi palpebre dei miei occhi. Io mi accorsi che l'accesso era passato.
Io riconobbi che avevo ora di nuovo l'uso delle mie facoltà visuali.
E tuttavia era l'oscurità, l'intensa e completa oscurità della notte senza fine.
Io tentai di gridare, le mie labbra e la mia lingua si erano convulse in quello sforzo; ma nessuna voce uscì dall'antro dei miei polmoni, che, oppressi come sotto il peso di una montagna, s'aprivano e palpitavano con il cuore, a ognuno dei miei penosi respiri.
Il movimento delle mie mascelle nello sforzo che feci per gridare, mi mostrò che erano legate, come si fa di solito per i morti.
Fino a quel momento non avevo osato muovermi; ma allora alzai violentemente le mie braccia.
Io non potevo più dubitarne, riposavo in una bara.
Io mi agitai, feci dei movimenti spasmodici per aprire il coperchio, che non si mosse.
La speranza cadde per sempre, e una disperazione terribile regnò trionfante; e improvvisamente le mie narici sentirono l'odore forte e tipico della terra umida.
La conclusione era inevitabile.
Io non ero nel mio sepolcro. Avevo senza dubbio avuto un attacco, in mezzo ad estranei; quando e come, non potevo ricordarmene; ed erano loro che mi avevano sepolto come un cane, in una rozza bara e gettato profondamente, e per sempre, in una tomba ordinaria e senza nome.
Siccome questa orribile convinzione penetrò fino al profondo della mia anima, una volta ancora tentai di gridare di tutte le mie forze; e riuscì in questo secondo tentativo.
Un grido prolungato, selvaggio e continuo, urlo di agonia, risuonò attraverso le lande della notte sotterranea.
- Olà ! olà ! voi, laggiù ! disse una voce.
- Che diavolo ha dunque ? disse un secondo.
- Volete farla finita ? disse un terzo.
- Che avete dunque da gridare così come un gatto in calore ? disse un quarto.
E fui afferrato e scosso senza cerimonie per qualche minuto da una scolta di individui dalle facce poco rassicuranti.
Non mi svegliarono, in quanto ero perfettamente desto quando avevo lanciato quel grido, ma mi resero il pieno possesso delle mie facoltà.
Quella avventura capitò vicino a Richmond, in Virginia.
Accompagnato da un amico, ero andato a una battuta di caccia e avevamo seguìto per qualche miglio le rive del James River. Al calare della notte, fummo sorpresi da un temporale.
La cabina di un piccolosloopall'ancora nel fiume, e caricato di terra, era il solo riparo accettabile che ci si offriva.
Ci accontentammo, e passammo la notte a bordo. Tuttavia, dormii profondamente.
Gli uomini che mi avevano scosso erano i marinai dello sloop, e dei manovali reclutati per lo scarico.
L'odore di terra mi era giunto dal carico stesso.
Quanto al bendaggio delle mie mascelle, era un foulard che mi ero
legato attorno alla testa a mò di berretto da notte.
Tuttavia, è indubbio che le sensazioni provate erano state proprio, salvo che per la durata, quelle di un uomo seppellito vivo.
Erano state spaventose e orrende oltre ogni concetto.
Ma il bene esce dal male; il loro eccesso stesso produsse in me una nausea inevitabile.
Da quella notte memorabile, dissi addio per sempre a quei miei timori funebri, e svanì la catalessi, di cui forse erano meno la conseguenza che la causa.
Ahimè ! impossibile guardare questa genia di terrori sepolcrali come cosa di pura fantasia; come i demoni che accompagnano Afrasiab nel suo viaggio sull' Oxus, bisogna rassegnarci a morire.
GLI OCCHIALI
The Spectacles
E' stato di moda, un tempo, di mettere in ridicolo l'idea dell'amore a prima vista; ma quelli che pensano, persino quelli che lo sentono vivamente, hanno sempre creduto all'esistenza dei colpi di fulmine della passione.
Le scoperte moderne, in quel che si potrebbe chiamar magnetismo morale, fanno pure presumere che gli affetti umani più naturali, e, quindi, più vivi e più veri, sono quelli che risvegliano nel cuore una specie di simpatia elettrica; in una parola, le relazioni psichiche più brillanti e più durevoli sono quelle causate da un primo sguardo.
La confessione che sto per fare aggiungerà una prova ulteriore agli esempi già numerosi di quel che io anticipo.
Ma la natura del mio racconto mi obbliga a entrare in certi dettagli minuziosi. Io sono ancora un giovanotto, ventidue anni appena.
Il nome sotto il quale mi chiamano oggi, Simpson, è molto comune e abbastanza plebeo.
Io dico oggi, perchè lo porto da poco; è da un anno appena che ho ottenuto l'autorizzazione legale di portarlo, in seguito al un'eredità considerevole che mi ha lasciato un parente alla lontana, Adolphus
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