Polli, muli e  due vecchi pazzi
146 pages
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Polli, muli e due vecchi pazzi , livre ebook

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Description

**Tra i 10 migliori autori secondo il Wall Street Journal** **Miglior autrice secondo il New York Times** 
Se Joe e Vicky avessero saputo cosa volesse DAVVERO dire trasferirsi in un piccolo villaggio di montagna in Andalusia, probabilmente avrebbero esitato…
Non avevano idea dello shock culturale in serbo. Non avevano idea che sarebbero diventati riluttanti allevatori di polli e che avrebbero posseduto il più pericoloso galletto di Spagna. Non avevano idea che avrebbero aiutato a catturare in avvoltoio o che sarebbero stati salvati da una mula.
Rimarranno o torneranno alla relativa sanità mentale dell’Inghilterra?
Include le ricette spagnole donate dalla signore del villaggio.

Informations

Publié par
Date de parution 28 septembre 2015
Nombre de lectures 0
EAN13 9781507121252
Langue Italiano
Poids de l'ouvrage 5 Mo

Informations légales : prix de location à la page 0,0100€. Cette information est donnée uniquement à titre indicatif conformément à la législation en vigueur.

Extrait

Polli, muli
e
due vecchi pazzi
Victoria Twead
Traduzione di Debora Serrentino Wall Street Journal Top Ten Three times New York Times bestselling author
*** “Polli, muli e due vecchi pazzi”
Autore Victoria Twead
Copyright © 2015 Victoria Twead
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Babelcube, Inc.
www.babelcube.com
Traduzione di Debora Serrentino
“Babelcube Books” e “Babelcube” sono marchi registrati Babelcube Inc.
Dedica Agli abitanti, vecchi e giovani, di El Hoyo il cui caldo benvenuto, la pazienza e la generosità sono stati sorprendenti. Li ringrazio tutti dal profondo del mio cuore. A Juliet e Sue, le Gemelle del Gin. Possano le loro bottiglie non essere mai vuote.
1Il piano quinquennale
2Judith, Mamma e Kurt
3Sottoscritto e sigillato
Indice
4Paco e Berthina
5Il duo Dinamico
6Attenti all’uomo con il Van
7Agosto
8Parabole e Festeggiamenti
9Uva e medici
10Gli Eco-Guerrieri
11Muli e tempeste
12¡Fiesta!
13Processioni e budino
14Polli...
15… e altri polli
16Uova
17Gli equatori
18Colin dà una mano
19Cocky
20La Comune
21Morti e Pancho Pinochet
22Sostenendo Pancho
23Fuga di un giorno e animali
24Meduse e polli
25Le nuove case
26Regali
27…e altri regali
28La Jeep
29Ordini del medico
30Scambio di casa
31Epilogo
Il furgone del pesce
Una giovane folle nel Dorset
Libri di Victoria Twead
Contattate lautrice e collegamenti
Ringraziamenti
Domande dal dibattito del Libro
Indice delle ricette
“Pronto?” “Sono Kurt”.
1 Il piano quinquennale Tapa con funghi trifolati di Brontolo
“Oh! Ciao Kurt. Come stai?” “Bene. Dovete firmare subito i documenti. Ho preso appuntamento con notaio il 23 maggio, alle dodici in punto”. “Bene, controllo i voli e....”, ma aveva già agganciato. Kurt, il nostro agente immobiliare tedesco, era il tipo di persona a cui ubbidivi senza domande. Così, il 23 maggio, ci siamo trovati di nuovo in Spagna, seduti dietro ad un tavolo lucidissimo nell’ufficio del notaio. Di fianco a noi sedeva il direttore della banca con una valigetta piena di banconote. * * * Nove mesi prima, non avevamo mai incontrato Kurt. Nove mesi prima io e Joe vivevamo in una casa ordinaria, in una città ordinaria del Sussex. Nove mesi prima avevamo lavori ordinari e aspettavamo un futuro ordinario. Poi, in una domenica noiosa, ho deciso di cambiare tutto. “…pesanti piogge sono previste per il prossimo week end festivo fino alla prossima settimana. Le temperature raggiungeranno a malapena i 14°…”
Era agosto, e la ragazza delle previsioni indossava un soprabito e si riparava sotto un ombrello. Giugno era stato piovoso, luglio ancora di più. Sospirai, spegnendo con il telecomando prima che lei potesse deprimermi ulteriormente. Agh! Tipico clima inglese.
Casa in Inghilterra. A mia depressione si trasformò in frustrazione. Le riflessioni che mi avevano tormentato a lungo erano tornate. Perché dovevamo sopportarlo? Perché non andarcene? Perché non andare a vivere nella mia amata Spagna dove splende sempre il sole?
Mi avvicinai alla finestra. Gocce di pioggia, come lumache, lasciavano la scia sul vetro. Nubi plumbee pesanti di altra pioggia ricoprivano la città. Rifiuti fradici annegavano nel canale di scolo. “Joe?” Lui stava sonnecchiando, sdraiato sul divano con la bocca socchiusa. “Joe, voglio parlarti di qualcosa”. Povero Joe, il mio paziente marito. Il suo corpo allampanato era allungato, il giornale gli scivolava dalle dita. Era completamente rilassato, beatamente inconsapevole che le nostre vite stavano per cambiare rotta. Come sembrava diverso nei suoi jeans trasandati rispetto alla sua solita linda uniforme. Ma per me, qualsiasi cosa indossasse, era sempre lo stesso, un ufficiale gentiluomo. Vicino al pensionamento dall’esercito, sapevo che aspettava con impazienza un futuro libero dallo stress, ma la ragazza delle previsioni della televisione mi aveva spinta all’azione. Il tarlo nella mia testa era sempre lì. E non la smetteva di scavare e scavare, impossibile da ignorare. “Mmh? Che succede?” Le sue parole erano impastate dal sonno, i suoi occhi ancora chiusi. La pioggia stava tatuando le finestre. “Joe? Mi stai ascoltando?” “Mmh...”
“Quando andrai in pensione venderemo casa e ne compreremo un’altra in Spagna”. Respiro profondo. Ecco. La bomba era stata sganciata. Avevo finalmente espresso il mio desiderio. Volevo abbandonare l’Inghilterra e la sua pioggia incessante. Volevo trasferirmi stabilmente in Spagna. Dimenticato il sonno, Joe si tirò su, la confusione nei suoi occhi mentre tentava di leggere la mia espressione. “Vicky, cos’hai appena detto?” chiese, lanciandomi un’occhiata. “Voglio andare a vivere in Spagna”. “Non puoi essere seria”. “Lo sono”. Ovviamente non era soltanto per la pioggia. Avevo moltissime ragioni, alcune vaghe, altre più solide. Io presentai il mio punto con attenzione. I nostri figli, ora adulti, erano sparsi per il mondo: Scozia, Australia e Londra. Ancora nessun nipotino all’orizzonte e a Joe mancava soltanto un anno alla pensione. Poi saremmo stati liberi come uccelli di costruire il nido dove preferivamo. Il costo della vita in Spagna sarebbe stato molto più basso: imposta sugli immobili più bassa, cibo più economico, case più economiche.... e la lista continuava. Joe ascoltava attentamente e io osservavo la sua reazione. Solitamente era,l u iquello impetuoso, non io. Ma sapevo bene che le sue fantasie sulla pensione erano minacciate. Il suo sogno di poltrire tutto il giorno in vestaglia, scrivere il suo libro e distrarsi con i bizzarri problemi di matematica stava andando in fumo. “Aspetta Vicky, pensavo avessimo programmato tutto? Pensavo che avresti iniziato a fare qualche giorno di supplenza, se volevi, mentre io scrivevo il mio libro”. Joe si grattava distrattamente le parti basse. Per una volta ignorai la sua irritante abitudine; andavo a ruota libera. “Ma immagina di scrivere in Spagna! Immagina di sedere fuori all’ombra di un vigneto mentre scrivi il tuo capolavoro”. All’esterno, i tergicristalli sbattevano sui parabrezza mentre le auto sfrecciavano e i copertoni sollevavano creste d’acqua sporca. Joe lanciò un’occhiata fuori dalla finestra alla pioggia battente e sentivo di aver segnato un punto importante. “Perché non scrivi una delle tue famose liste?” suggerì, scherzando solo in parte. Sono famosa per le mie liste e le mie annotazioni. Ho ereditato il gene delle annotazioni da mio padre, non posso farne a meno. Ogni giorno prendo nota del tempo, della temperatura, il primo bucaneve, il giorno in cui le formiche volano, il tasso di cambio dell’euro, tutto. Faccio liste della spesa, una diversa per ogni negozio. Scrivo liste di cose da fare e liste “Joe potresti per piacere...” Faccio liste per i bagagli prima delle vacanze. Faccio anche liste delle liste. Il mio soprannome al lavoro era Schindler. Così mi misi al lavoro e scrissi quella che consideravo essere una lista irresistibile: Sole
Case economiche
Vivere in campagna
Tassa sugli immobili minima
Persone cordiali
Meno criminalità
Niente bollette per il riscaldamento
Benzina meno cara
Fantastico cibo spagnolo
Birra e vino economici
Si può installare la TV satellitare così non perderesti una partita di calico
Stile di vita più rilassato
Potremmo permetterci una casa abbastanza grande da ospitare parenti e amici Nessun canone TV
Volo breve per l’Inghilterra
Potremmo vivere più a lungo perché la dieta mediterranea è la più salutare del mondo
Una volta terminato porsi la lista a Joe. Lui le diede un’occhiata e sbuffò. “Faccio il caffè”, disse, ma portò la mia lista con sé. Rimase in cucina a lungo. Quando uscì lo guardai con trepidazione. Lui mi ignorò, afferrò una penna e scarabocchiò qualcosa in fondo alla lista. Soddisfatto la lanciò sul tavolo e lasciò la stanza. La presi e lessi la sua aggiunta. Aveva calcato talmente la penna che aveva quasi trapassato la carta. Joe aveva scritto:
NON SAPPIAMO LO SPAGNOLO! TROPPE MOSCHE! IL TRASLOCO È UN INFERNO! Per settimane abbiamo discusso, scambiandoci argomenti pro e contro come nel ping pong. Anche quando non ne stavamo parlando, il discorso restava nell’aria tra noi, quasi tangibile. Un giorno (era una coincidenza che stesse piovendo ancora?) Joe mi sorprese. “Perché non prenoti una vacanza nel periodo di Natale, potremmo dare un’occhiata”. L’abbraccio che gli diedi quasi gli spezzò le costole. “Aspetta!” disse, staccandosi e tenendomi a distanza di braccia. “Quello che sto cercando di dire è che voglio un compromesso”. “Cosa intendi con ‘compromesso’?” “Che ne dici se lo considerassimo un piano quinquennale? Non venderemo questa casa, la affitteremo. D’accordo possiamo trasferirci in Spagna, ma non necessariamente per sempre. Al termine dei cinque anni, noi potremo riflettere se tornare in Inghilterra o rimanere là. Sono contento di tentare per cinque anni. Cosa ne pensi?” Ci rimuginai sopra. Trasferirci in Spagna, ma considerarlo una specie di progetto? A dire il vero sembrava un’idea piuttosto buona. Anzi, un perfetto compromesso. Joe mi stava guardando. “Allora? D’accordo?” “D’accordo....” Era una specie di vittoria. Un piano quinquennale Sì, vedevo un senso in questo. In cinque anni poteva succedere qualsiasi cosa. “Bene, allora continuiamo. Prenoto una vacanza per il periodo Natalizio e partiremo da lì”. Così mi collegai a internet e prenotai una vacanza di due settimane ad Almerìa. Perché Almerìa? Conoscevamo già la zona piuttosto bene e questa sarebbe stata la nostra quarta visita. E io consideravo questa parte dell’Andalusia perfetta. Solo due ore e mezza di volo da Londra, sole garantito, persone cordiali e viste mozzafiato. Era perfetto. Joe concordò cautamente che la zona poteva essere l’ideale. Ora che la destinazione era decisa, che tipo di casa volevamo in Spagna? Il nostro budget si era ridotto, visto che non avremmo venduto la nostra casa inglese. Avremmo dovuto cercare qualcosa di economico.
Nelle nostre visite precedenti avevo odiato tutte le case che avevamo visto nei resort. Complessi residenziali prodotti in massa come mattoncini lego, tutte uguali, tutte senza carattere e una vicina all’altra. No, sapevo cosa volevo: una casa che potevamo ristrutturare, con viste e spazio, preferibilmente in un villaggio incontaminato.
Diversamente da Joe, ero sempre stata ossessionata dalle case. Io ero la forza motrice ed era stata una scalata difficile la proprietà inglese che ci permetteva anche solo di considerare di trasferirci all’estero. Negli ultimi anni, avevamo acquistato una casa fatiscente, l’avevamo rinnovata e venduta, realizzando un buon profitto. Così ne avevamo acquistata un’altra ripetendo l’operazione. Era un lavoro estenuante. Avevamo entrambi altre carriere, ma valeva
lo sforzo. Ora potevamo permetterci di affittare la nostra casa in Inghilterra e tuttavia comprarci una modesta casetta in Spagna. “Se decideremo di trasferirci”, disse Joe, “ e compreremo una vecchia casa da ristrutturare, non sarà come ristrutturare case in Inghilterra. Tutto sarà diverso là”. Quanto aveva ragione. * * * Come una bimba aspettai l’arrivo del Natale con trepidazione. Non vedevo l’ora di mettere di nuovo piede sul suolo spagnolo. Arrivammo, e nonostante le luci natalizie che decoravano l’aeroporto, c’era abbastanza caldo da toglierci le giacche. A breve avremmo trovato il nostro hotel e ci saremmo sistemati. La mattina dopo noleggiammo un’auto. Joe, che aveva finalmente accettato l’inevitabile, era felice di guidare fra le montagne in cerca della Casa. Avevamo due settimane per trovarla. Ancora una volta la montagna ci sedusse. L’infinito cielo azzurro dove gli uccelli rapaci volteggiavano pigramente. I frutteti curati illuminati da arance e limoni. Villaggi nascosti annidati nelle valli. Persino le strade, strette, pericolose e sinuose non erano in grado di infrangere l’incanto che l’Andalusia aveva gettato su di noi. Ogni giorno guidavamo attraverso villaggi imbiancati dove minute vecchie signore in nero smettevano di spazzare i loro usci per guardarci passare. Salutavamo i contadini che lavoravano nei campi, la polvere secca che vorticava in nubi, infastidita dal loro lavoro. Ci fermavamo per lasciar passare i pastori con il loro gregge, il campanaccio della capra di testa sferragliava dispotico mentre il gregge la seguiva, tentando di acchiappare un boccone di vegetazione lungo la strada. Benché non avessimo ancora trovato la Casa, eravamo fiduciosi che avremmo trovato la zona dove volevamo vivere. * * * Un giorno guidammo in un villaggio aggrappato con le unghie al fianco di una montagna. Entrammo in un bar che rumoreggiava per l’attività. Era pieno e l’aria era pesante di fumo. Il barista con un grembiule bianco ci guardò e ci salutò con un cenno della testa. Nessun sorriso, solo un cenno. Joe trovò un massiccio tavolo di legno vicino alla finestra con vista panoramica e ci sedemmo, immergendoci nell’atmosfera. Quattro anziani giocavano a carte nel tavolo vicino. Era in corso un acceso dibattito con un altro gruppo. Colsi le parole “Barcellona” e “Real Madrid”. La maggior parte degli avventori era maschio. Brontolo, il barista, si pulì le mani sul suo grembiule e si avvicinò al nostro tavolo, spazzando briciole immaginarie dalla superficie con il dorso della mano. Aveva magnifici baffi che nascondevano la sua espressione e che rendevano difficile la comunicazione. “Possiamo vedere il menù, per favore?” chiese Joe con il suo miglior frasario di spagnolo Brontolo scosse la testa e sbuffò. A quanto pareva non c’era il menù. Noimporta,” disse Joe. Utilizzando una combinazione di linguaggio dei segni e di grugniti impazienti, Brontolo prese la nostra ordinazione ma il nostro pranzo era destinato ad essere una sorpresa. Un cestino di pane fu sbattuto sul tavolo, seguito da due piatti di cibo. Funghi trifolati -deliziosi. Pulimmo i piatti e ci appoggiammo indietro, digerendo il cibo e i dintorni. Con il tipico modo spagnolo, gli avventori del bar urlavano l’un l’altro come se ognuno avesse seri problemi di udito. “Il tempo sta per scadere”, disse Joe. “Possiamo anche continuare a girare per la campagna, ma non troveremo nulla. Dubito seriamente che troveremo una casa durante questa vacanza”. All’improvviso, chiare come il cristallo, le parole Inglesi “Oh porca vacca! Dove sono le mie chiavi?” aleggiarono sopra il cicaleccio spagnolo.
2 Judith, Mamma e Kurt Sugo speziato Mediterraneo
Ci voltammo, proprio mentre la proprietaria della voce trovava le sue chiavi e le faceva tintinnare con aria trionfante. Finì di salutare i suoi compagni di bevute in spagnolo perfetto e fluente. Questa opportunità era troppo bella per lasciarsela scappare. Mentre camminava oltre il nostro tavolo, salutai e dissi “Salve, lei è inglese vero?” Poco originale, devo ammetterlo, ma sortì l’effetto desiderato. Si fermò. “Sono Vicky e questo è Joe”, dissi. “Adoriamo questa zona. Vive qui da tanto?” Judith era unica. Robusta, sessant’anni, una sottile treccia lungo la schiena. Indossava un completo in tweed inglese e scarpe comode. Ci stringemmo la mano e si accomodò sulla sedia che Joe spostò per lei. “Venticinque anni”, disse. “Cielo, come passa il tempo”. “Si è sistemata davvero bene qui”, disse Joe. “È un posto dannatamente bello qui”, disse, piegandosi in avanti, le ginocchia aperte, le mani che giocherellavano con il mazzo di chiavi. “Il clima è decisamente migliore che nella Patria dei reumatismi, lo sapete”. La voce di Judith era colta anche se spesso intercalava con espressioni colorite. Benché avesse l’aspetto e l’atteggiamento di un’eccentrica aristocratica inglese, sembrava perfettamente a suo agio in questo angolo sperduto della Spagna. Giudicando dal suo comportamento con le persone del bar, era accettata e rispettata dagli abitanti del villaggio. Con noi fu amichevole e illuminante, rispose a tutte le nostre domande con la sua voce stridente. “Sono terribilmente rilassati gli spagnoli”, disse. “La nostra governante, Ana, ha bisogno che le si metta il fuoco sotto i piedi per farla lavorare”. “Ha mai pensato di ritornare in Inghilterra?” Chiesi, sentendomi un po’ dispiaciuta per Ana. “Buon Dio, cara!” disse, con gli occhi sporgenti. “Mai nella vita! Non mi manca affatto la perfida Albione!” Poi diede un’occhiata all’orologio da uomo al suo polso. “Diamine!” disse. “Guarda l’ora! Mamma si starà chiedendo dove sono. Perché non venite a casa mia, conoscerete Mamma?” Joe e io acconsentimmo, pagammo in fretta Brontolo e la seguimmo fuori, alla luce del sole. “Dove siete, piccoli bastardi?” chiamò appena fuori. Joe sembrava sotto shock e io restai gelata sul posto. Diversi cani sbucarono dall’ombra e le si precipitarono incontro, noi ci rendemmo conto che non si rivolgeva a noi. “Quanti cani ha?” Chiesi, le ginocchia circondate dai cani. “Nove”, disse Judith brevemente. “Quello là si chiama “Mezzo”. Dovevo sembrare ammutolita. “È l’ultimo. C’eravamo sempre detti che non avremmo mai avuto dieci cani, così quando si è unito a noi l’abbiamo chiamato “Mezzo”. Così adesso ne abbiamo solo nove e Mezzo. I maledetti spagnoli non sanno badare agli animali!” La casa di Judith era proprio in fondo alla strada del bar di Brontolo. Enormi doppie porte si aprivano con una chiave fuori misura e fummo accompagnati all’interno, nel buio. I nostri occhi si adattarono e vedemmo che ci trovavamo in una sorta di grotta d’Aladino. Il salotto era ingombro di solidi e massicci mobili inglesi antichi, che risplendevano per l’età e per la storia. Grandi specchi ricoprivano i muri. Ogni superficie era stipata di soprammobili e di cianfrusaglie di valore. Guardando più da vicino, le enormi credenze e i tavoli di mogano avevano le gambe scheggiate dove i cani le avevano masticate.
Gli scaffali erano curvi sotto il peso di statuette polverose e pile di libri. Di quando in quando ombre scure si muovevano e potevamo distinguere gatti che dormivano ovunque. Un gatto era allungato sulla mensola del caminetto, un altro sul pianoforte a coda. Un raggio di luce filtrava da una fessura nella persiana di legno, granelli di polvere e peli di gatto danzavano
nella luce. “Lasciate che vi presenti Mamma”, urlò Judith, accendendo una lampada Tiffany sul tavolo. Una figura si srotolò su una chaise longue decorata, sloggiando un gatto arancio che cadde a terra. “Poi ci faremo un goccetto.” Noi eravamo incantati da Mamma. Doveva avere ottantacinque anni, ma era avvolta in un diafano abito di pizzo, corto con un ampio spacco e completamente trasparente in controluce. Era in posa da vamp, trasudando fascino e Chanel n°5. “Piacere di conoscervi”, disse l’anziana signora, porgendo le dita fresche di manicure per farsele stringere. Joe e io passammo quasi un’ora tra i fumi del vino con queste signore ospitali, arrampicati su un antico divano, incastrati tra cani e gatti. “Ho avuto la dispensa dal mio vescovo in Inghilterra”, tuonò Judith. “Devo frequentare la loro chiesa qui, lo sapete?” I maledetti cattolici non possono organizzare la loro bevuta in un birrificio. Il prete sistemerà tutto presto, vero Mamma?” Le campane della chiesa rintoccarono, come d’accordo. Mamma si stava ammirando le unghie e non ascoltava. Un cagnolino peloso che assomigliava ad un mocio iniziò a montare un cuscino sul pavimento. “Bene miei cari. Se siete seri sul trasferirvi qui, vi suggerisco di farvi una chiacchierata con Kurt”, disse Judith, scarabocchiando un numero di telefono sul retro del giornalino della chiesa. “Non andate da uno di quei dannati agenti immobiliari del paese. Tutti imbroglioni. Fatemi sapere come vi metterete d’accordo”. Alla fine ringraziammo Judith e salutammo Mamma. Barcollammo in strada, sbronzi per il vino rosso e i peli di animali, il numero di telefono di Kurt stretto in mano. * * * Il giorno dopo contattammo Kurt, con la voce di Judith che risuonava nelle orecchie“Onesto come un dannato Santo, sapete”. Era un agente immobiliare non ufficiale per gli stranieri e molto tedesco. Parlava un eccellente spagnolo, un pittoresco inglese ed era sposato con Paula, un’avvocata spagnola. Il suo socio in affari, Marco, era nel Consiglio locale. Una combinazione irresistibile. Eravamo fiduciosi che fosse la persona giusta per aiutarci a trovare la Casa. Ci incontrammo all’ora dell’appuntamento nella piazza del paese di Judith, fuori dal municipio. Alcuni anziani spagnoli sedevano sulle panchine e smisero di parlare per osservarci. Un gruppo si donne, tutte vestite di nero, ci esaminarono come corvi curiosi. Quando ci presentammo, la stretta di Kurt trasudava efficienza. Alto, in forma e teutonico dalla testa ai piedi, i suoi ricci biondi si agitavano quando parlava come a sottolineare le sue frasi. “Io ho tre case da farvi federe”, disse. Quindi spero siate pieni di entusiasmo”. Marciò lungo la strada. Le sue gambe muscolose coprivano la distanza con falcate lunghe e oscillanti mentre noi ci affannavamo pateticamente dietro di lui. Cercando disperatamente di anticipare la sua mossa successiva, ci concentrammo sulla sua schiena che si allontanava. Faceva svolte improvvise a destra e a sinistra, provocando pesanti scontri fra me e Joe in un disperato tentativo di stargli dietro. Doveva sembrare una qualche ridicola scena alla Stanlio e Ollio. La prima casa non aveva il tetto. “È questa?” Mormorò Joe a denti stretti. Sollevai gli occhi al cielo, ma non risposi. Kurt ignorò le nostre espressioni turbate e aprì la porta d’ingresso con un gesto plateale. “Questa è una buona casa”, disse. “Tutte le stanze sono molto grandi”. Era vero. Tutte le camere erano anche luminose e ariose, come ci si aspettava da una casa senza soffitto. In cucina ciuffi d’erba spuntavano tra le piastrelle incrinate del pavimento. Ci fermammo in una camera da letto e guardammo su, nel cielo sovrastante. “Ehm, molto bello”, dissi, “ma in effetti credo che preferiremmo una casa con un tetto”. Le sopracciglia bionde di Kurt si sollevarono per la sorpresa, come se avessimo chiesto una
sauna interna, o l’home cinema. Ja, penso che vi piacerà la prossima casa. Ha il tetto”. Sollevati, ci portò oltre le montagne a vedere la casa successiva. Era isolata su una terra brulla, una rinsecchita palma solitaria stava di guardia. “Anche questa è una buona casa. Ha il tetto e una palma”. Gli occhi di Kurt ci sfidavano a trovare dei difettiquestavolta. Ad essere onesti la facciata della casa era piuttosto notevole, anche se trascurata. Joe sparì dietro l’angolo dell’edificio mentre Kurt rovistava con la chiave nella serratura. Sì, aveva un tetto. E una palma. Non potevo fare a meno di essere emozionata. Alla fine Kurt aprì la porta e cercò di spalancarla. La porta faceva resistenza, così le diede una spallata. Quella resisteva, costringendolo ad assestarle un poderoso calcio germanico. Successo. La porta si spalancò, Kurt e io saltammo per la sorpresa. Lì di fronte a noi, nel bel mezzo della stanza, c’era Joe. “Come sei entrato?” Domandai stupita. “Non ci sono mura sul retro. Neppure su uno dei lati”. “Niente mura, ma è una buona casa. Ha il tetto e una palma”. disse Kurt, riprendendosi, chiaramente fiducioso che avremmo sorvolato su questo piccolissimo difetto. C’era uno scintillio di divertimento in quegli occhi blu?
“Niente mura, ma c’è una palma” Continuammo il giro. Joe aveva ragione, parecchi muri erano crollati, i mattoni giacevano dove erano caduti. Gli uccelli si alzarono in volo strillando, come se li avessimo disturbati in cucina. Morbidi escrementi di coniglio e capra facevano cic ciac sotto i piedi. Due gatti randagi balzarono fuori da un angolo e sgattaiolarono via oltre il pendio. Un vento freddo soffiava altri detriti in casa, depositandoli sul cumulo che si era già formato nel tempo. “Ritengo che ci serva una casa che abbia un tetto e dei muri”, disse Joe con risolutezza e io assentii. Kurt non sembrò scoraggiato. Uscimmo e lui chiuse nuovamente la porta dietro di noi. “Che senso ha chiudere la porta dal momento che la casa non ha muri?” Chiesi curiosa. “L’assicurazione”, disse scansando il ciuffo dagli occhi. “Ho ancora una casa. È una casa molto bella. Ha i muri, un tetto, ma nessuna palma. Seguitemi”. Scarpinammo verso l’auto. A circa un chilometro in linea d’aria, ma a ben otto chilometri per strada, c’era il villaggio di El Hoyo. La strada era vuota mentre Kurt guidava sempre più su e raggiungeva la cima della montagna. Senza preavviso svoltò in una strada a una corsia che costeggiava pericolosamente il bordo di un precipizio. Gli abeti erano aggrappati ai fianchi della montagna in un intreccio verde scuro. C’erano ulivi piantati in file militari su terrazze scavate dai contadini generazioni prima. I mandorli mostravano i loro fiori bianchi.
Kurt rallentò così che potessimo ammirare il panorama al di sotto. Sbirciammo giù e fummo ricompensati dal nostro primo sguardo su El Hoyo. Quel giorno era velato dalla nebbia che si sollevò quando il vento cacciò via le nuvole vaporose. El Hoyo era il tipico villaggio moresco
imbiancato, ed era molto più piccolo del villaggio di Judith. Immerso nel fondo della valle, le case del villaggio raggruppate, protette da tutti i lati dagli antichi pendii. Era giusto un pugno di case, molte davvero vecchie, alcune derelitte. Strade strette separavano le file di case. Al centro c’era una piazza, che poteva vantare l’ombra degli alberi, le panchine e una fontana. La chiesa era grandiosa e sorprendentemente rosa. Nella periferia del villaggio c’erano alcune case moderne. Mi sorpresi a trattenere il fiato, catturata dal panorama al di sotto. Kurt mandò su di giri l’auto e iniziammo a scendere in una corsa da brivido fra curve e tornanti. Parcheggiò l’auto vicino alla piazza e scendemmo tutti. Non c’erano segni di vita tranne che per una coppia di cani annoiati e un pennacchio di fumo da un comignolo. “È così tranquillo”, sussurrai. Un gallo cantò da qualche parte. Ja, qui c’è un sacco di quiete e pace. Nessuno fi disturberà qui”. Svoltò in una stradina laterale con Joe e me alle calcagna, quindi si fermò all’improvviso mandandoci a sbattere contro la sua schiena. Alonso il proprietario della casa in vendita, stava sulla soglia sorridente. Piccolo di statura, ma robusto e contorto come il tronco di un ulivo, ci salutò. Joe e Kurt strinsero la mano che porgeva mentre io fui afferrata e baciata su entrambe le guance, secondo l’usanza spagnola.
Strizzata in mezzo ad una fila di case a schiera, questa casa dall’esterno sembrava poco promettente. Sembrava sottile e angusta, come se tentasse di farsi strada a spallate fra le vicine. La facciata era ampia quanto la porta d’ingresso e una piccola finestra. Alonso e Kurt si fecero da parte e noi entrammo.
3 Sottoscritto e sigillato Bruschette con prosciutto e pomodori di Bethina.
In piedi nel salotto, Joe e io ci guardavamo intorno. “Puzza di umidità”, disse Joe, arricciando il naso. “Ed è così buio”, dissi io. “Persino con la luce accesa”. “Per lo meno ha muri e tetto”. Il tentativo di Joe di fare una battuta non mi divertì. Kurt e Alonso ci avevano seguito all’interno, continuando a chiacchierare. Un orrendo lampadario di plastica penzolava dal basso soffitto proprio sopra la testa di Kurt, come un ridicolo cappello per Ascott. Il caminetto era brutto e piccolo, incrostato di grasso vecchio. Su un muro c’era una crepa dall’aria sinistra che zigzagava dal soffitto al pavimento, come una saetta. “Cos’è quella”, chiese Joe indicandola. “Terremoto,”disse Alonso allegramente. “È stato il terremoto a fare la crepa”, disse Kurt. Joe e io ci scambiammo un’occhiata. Cosa? Il pensiero del terremoto non ci aveva mai nemmeno sfiorato. Poteva succedere ancora? E se la casa era pericolante? Alonso continuava a blaterare con Kurt, che ogni tanto traduceva per noi. “Dice che vi mostrerà la televisione. È tedesca”, disse Kurt. Ci sforzammo di sembrare eccitati all’idea di possedere la vecchia e polverosa televisione che occhieggiava malevolmente da un angolo. Lasciammo Alonso e Kurt al piano terra e salimmo le scale, aggrappati al fragile palo di metallo avvitato al muro che fungeva da corrimano. I gradini di cemento erano crepati e sporchi. Sopra c’erano tre stanze, ognuna con una piccola finestra dalle imposte sprangate. Polverose ragnatele occupavano ogni angolo e nicchia come un pizzo vittoriano a brandelli. Reti arrugginite con materassi ammuffiti davano riparo ad ulteriori scarafaggi e nidi di ragno. “È terribile”, disse Joe. “Chiunque la compri deve essere impazzito. Costerà una fortuna sistemarla”. “Sono d’accordo”, dissi. “È orribile. Non la toccherei nemmeno con una pertica”. Scendemmo dove Kurt e Alonso stavano ancora chiacchierando nel salotto. Continuammo
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