Il Legame
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Description

Questa è la storia di una donna, Tywalyne: espressione berbera marocchina che significa «occhi miei» ma anche – richiamando il valore quasi mitologico che nei secoli è stato conferito alla vista, considerata il più prezioso dei sensi – «amor mio». Si tratta dunque di un nome dai molteplici significati.

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Publié par
Date de parution 18 février 2019
Nombre de lectures 17
Langue Italiano

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Extrait

khayat 5_4 6-04-2007 9:26 Pagina 1
Romanzi e Racconti
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khayat 5_4 6-04-2007 9:26 Pagina 3
Rita El Khayat
Il legame
TRADUZIONE DI Laura Cristina
Baldini Castoldi Dalai Editori dal 1897 www.bcdeditore.it e-mail: info@bcdeditore.it
khayat 5_4 6-04-2007 9:26 Pagina 4
Traduzione dal francese di Laura Cristina
Titolo originale: «La liaison»
©Editions Aïni Bennaï
©2007 Baldini Castoldi DalaieditoreS.p.A. - Milano ISBN 88-6073-055-4 ISBN 978-88-6073-055-8
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PREFAZIONE
Questa è la storia di una donna, Tywalyne: espressione berbera marocchina che significa «occhi miei» ma anche – richiamando il valore quasi mitologico che nei secoli è stato conferito alla vista, considerata il più prezioso dei sensi – «amor mio». Si tratta dunque di un nome dai mol-teplici significati. In Marocco un’invocazione all’amato è espressa, più curiosamente, anche dall’accenno a un altro organo: il fe-gato. «Mio piccolo fegato» è un tenero modo di dire, ri-servato ai momenti di maggiore intimità, sia in arabo che in berbero. Tywalyne non è quindi un nome proprio, ma la sua mu-sicalità e la sua carica affettiva ed estetica si adattano per-fettamente alla protagonista del romanzo. Tutti gli innamorati che soffrono si ritrovano nel ro-manzo che si svolge attorno a degli intensi momenti d’a-more e si perdono nel gioco di contemplare il proprio «io». Tywalyne parla in prima persona, e questo può infasti-dire perché il realismo di questa violenza amorosa metterà in imbarazzo tutti gli innamorati timorosi e bloccati e li col-merà di sensazioni sconcertanti e inquietanti.
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Rita El Khayat
Questo testo è un’allegoria dello sguardo anche se il piccolo dio dell’amore lancia le sue frecce con gli occhi bendati.
L’Amore è cieco.
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CAPITOLO1
Avevo vent’anni. Ero molto bella, e non lo sapevo. Non sapevo niente. Ho avuto trent’anni, rinsecchiti e sciupa-ti sotto l’insegna delle donne forti. Poi mi sono avvici-nata ai quaranta e ho conosciuto l’Uomo, nel massimo fulgore della mia età ma non della mia esistenza: avevo 35 anni. Lui, che non mi ha mai detto la sua età, e che non ha mai lasciato che io trovassi una carta d’identità o un documento qualsiasi che mi rivelasse che era dieci anni più vecchio di me. Molto lusinghiero. O lo era. Og-gi, lui è vecchio. Questo vuol dire che non può più su-scitare una passione così violenta. Per tre anni, prima di conoscerci, ci siamo visti di tan-to in tanto da lontano, come barche che nel mare in tem-pesta scorgono il faro al di là dei flutti, per perderlo subi-to dopo… Quando si parla della prima volta, si pensa a letto, len-zuola, sudore. Per me, la prima volta fu l’incontro col de-stino, il fuoco, e l’incenerimento…
Ricordi sparsi e troppo ardenti per essere sepolti nel-l’oblio mi rivelano che in effetti ero molto più giovane, quando lo incontrai la prima volta. Poiché si trattava di un
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Rita El Khayat
periodo della mia vita che cercavo di dimenticare, avevo nascosto anche lui tra le pieghe di un passato nero come l’inchiostro di china. Dovevo avere circa ventotto anni, e quando ci avevano presentati, ero stata molto sgarbata, al limite della maledu-cazione, in realtà ferita dalla sua aria di superiorità e dalla sua freddezza. E, da quel primo istante, l’unica differenza tra di noi è stata che io ho continuato a cercare di miglio-rare, mentre lui è rimasto uguale, immobile, accontentan-dosi di godere l’immenso potere che gli derivava dalla sua personalità glaciale. Non si può fare a meno di notare che molte persone aride, meschine e anche superficiali godono di un certo prestigio sociale, proprio grazie a questo atteg-giamento affettato, che sembra dire: «Io posso sopraffare gli altri, ne ho la facoltà», messaggio espresso indifferente-mente da uomini e donne davvero detestabile, odioso… Ed effettivamente la prima volta, lo trovai detestabile anch’io. Mi suscitò una profonda avversione. Trovavo irri-tante perfino il suo aspetto, da giocatore mediano, goffa-mente vestito a festa per incontrare tifosi e dirigenti… Ospite in casa sua, fui molto scortese, ignorai gli altri in-vitati, e mi rifugiai in un angolo sola a pensare al tempo della mia vita che mi sfuggiva come sabbia tra le mani… Chi avrebbe potuto pensare che un giorno, da chimera che sarei diventata, languida e ammiccante, mi sarei ab-bandonata al piacere in quegli stessi luoghi, e proprio tra le braccia di quest’uomo? Avevo dimenticato completamente questo primo incon-tro, ma la memoria conservava un senso di profonda irri-tazione al suo pensiero.
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Il legame
E poi il caso ha voluto che dovessi rivederlo, incon-trarlo ancora, lui. La mia rabbia cresceva in quanto intui-vo che il gioco di potere era in mio sfavore. E sarà sempre così fra noi, fino a che non riuscirò a dominare il mio sen-timento per lui… Mi ero preparata, tenendo conto dell’inevitabile choc. Flanella grigia, seta perlata, accessori di coccodrillo, scarpe grigie e gambe inclinate in tutta la loro lunghezza, e non accavallate, come mi dava fastidio veder fare alle donne. Volevo avere un’aria molto dignitosa. Le mie gam-be velate dalla seta grigia erano indecenti. Lo sapevo. Ave-vo sapientemente scelto le tonalità del nero e del grigio per essere femminile. Femminilità perversa che solo un perverso raffinato poteva cogliere. Per intuizione, ero sin-tonizzata sulla frequenza del suo desiderio. Quando lo vi-di arrivare ansioso di concludere al più presto l’incontro, qualcosa nel suo sguardo mi rivelò in un istante il suo tur-bamento nel gesto appena accennato di ritrarsi.
Entravo come in un’arena. Avevo involontariamente accettato di dimenticare lo scopo dell’incontro. Uno di noi aveva trasformato quei momenti negli istanti di un uo-mo e di una donna. Uno di noi era inevitabilmente votato alla disfatta dei suoi slanci sentimentali e amorosi, a ripro-va della diversità di sentimenti anche tra i protagonisti di una stessa storia. Ed è spesso la donna, a vivere più dolo-rosamente la sua passione… Il suo invito a sedermi accanto a lui invece che dietro la grande scrivania mi rivelò ancor più chiaramente che qualche cosa stava succedendo. Il primo rituale del caffè…
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Rita El Khayat
Era freddo, e non ce n’era dell’altro, e intanto il tempo passava.
Guardandolo negli occhi, realizzai che qualche manife-stazione dell’ordine del desiderio o dell’amore stava com-piendosi tra noi. Atterrita come una bestiola braccata, ri-pensai al divieto che mi era stato fatto tante volte, a comin-ciare da mio padre, di guardare un uomo negli occhi. Le proibizioni restano scritte dentro di noi, e riaffiorano solo nel momento del pericolo reale, senza alcun avvertimento.
Ero turbata. Le mie aspirazioni passavano ancora una volta dall’esame di un uomo. Lui mi ascoltava. La nostra conversazione era banale, mentre in sottofondo scorreva-no le parole di un altro discorso più ludico, preliminare. Il potere di decidere restava senza dubbio nelle sue mani, come per un tacito accordo.
La mia voce sollevava una calda marea di onde di seta. Conoscevo questa sua qualità: poteva sedurre un pubblico distratto, affascinare un bambino con una fiaba, commuo-vere una donna arida, l’amica di un pomeriggio, con la qua-le passavo il mio tempo, come si è solito fare tra donne. È qualcosa che si impara, come respirare, camminare e, in de-finitiva, sacrificarsi alle regole della società.
Avevo scordato il potere della mia voce, che non mi fa-ceva capire la ragione per cui quest’uomo mi ascoltava con attenzione, fissandomi con intensità. Ma una voce – pensavo – è sempre bella quando è sincera.
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