Belfagor
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Arthur Bernède BELFAGOR IL FANTASMA DEL LOUVRE Bélphegor(1927) © ClaireHennoire 2010-2015 Il testo originale è nel Pubblico Dominio. Traduzione depositata All Rights Reserved Worldwide - Tous droits réservés Tutti i diritti riservati sulla presente traduzione in italiano. PRIMA PARTE IL MISTERO DEL LOUVRE I LA SALA DEGLI DEI BARBARI - C'è un fantasma al Louvre ! Tale era la strana diceria che, il mattino del 17 maggio 1925, circolava nel nostro museo nazionale. Dappertutto, nei vestiboli nei corridoi sugli scaloni non si vedeva che gente che si abbordava,gli uni terrorizzati, gli altri increduli, e che si affrettava a commentare la strana e fantastica notizia. Nella sala detta di « David » davanti al celebre quadro, l'Incoronazione di Napoleone, due guardiani discutevano con animazione. Subito, gli spazzini e i pulitori che, quel giorno, non compivano che molto distrattamente le loro mansioni, si avvicinarono a loro, al fine di ascoltare la conversazione, che non poteva mancare di essere assai interessante. - Io... io ti dico che c’e un fantasma ! scandiva uno dei guardiani. E mentre il suo collega scoppiava a ridere e alzava le spalle, ribadì con un accento di convinzione sotto al quale traspariva una certa emozione : - Gautrais l'ha visto ! E lui non è nè un pagliaccio nè uno scemo ! ora scommetto che sta facendo il suo rapporto al conservatore ! Era esatto.

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Publié le 19 décembre 2015
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Langue Italiano

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Arthur Bernède
BELFAGOR IL FANTASMA DEL LOUVRE
Bélphegor(1927)
© ClaireHennoire 2010-2015
Il testo originale è nel Pubblico Dominio. Traduzione depositata
All Rights Reserved Worldwide - Tous droits réservés Tutti i diritti riservati sulla presente traduzione in italiano.
PRIMA PARTE
IL MISTERO DEL LOUVRE
I
LA SALA DEGLI DEI BARBARI
- C'è un fantasma al Louvre !
Tale era la strana diceria che, il mattino del 17 maggio 1925, circolava nel nostro museo nazionale.
Dappertutto, nei vestiboli nei corridoi sugli scaloni non si vedeva che gente
che si abbordava,gli uni terrorizzati, gli altri increduli, e che si affrettava a commentare la strana e fantastica notizia.
Nella sala detta di « David » davanti al celebre quadro, l'Incoronazione di Napoleone, due guardiani discutevano con animazione.
Subito, gli spazzini e i pulitori che, quel giorno, non compivano che molto distrattamente le loro mansioni, si avvicinarono a loro, al fine di ascoltare la conversazione, che non poteva mancare di essere assai interessante.
- Io... io ti dico che c’e un fantasma ! scandiva uno dei guardiani.
E mentre il suo collega scoppiava a ridere e alzava le spalle, ribadì con un accento di convinzione sotto al quale traspariva una certa emozione :
- Gautrais l'ha visto ! E lui non è nè un pagliaccio nè uno scemo ! ora scommetto che sta facendo il suo rapporto al conservatore !
Era esatto.
Nell'ufficio di quell'alto funzionario, Pierre Gautrais, omone solido, robusto, dalle spalle quadrate e una faccia franca e un pò ingenua, dichiarava al suo superiore, Lavergne, che, seduto al suo tavolo di lavoro e affiancato dal suo assistente e dal suo segretario, lo ascoltava con un aria benevola ma un pò scettica :
- Io l' ho visto come io vi vedo ! mi lascerei piuttosto tagliare la testa che dire il contrario.
- Ditemi, Gautrais, non avete bevuto un bicchierino di troppo ? osservava Lavergne.
- Oh ! Signor conservatore, sa bene che non mi sbronzo mai ! protestava Pierre Gautrais.
- Dunque, avete avuto una allucinazione.
- Oh ! no, monsieur. ero ben sveglio, ben padrone di me stesso; sono stat soldato, e posso dire, senza vantarmi, che non ho mai avuto paura, manco quando, a Verdun, le bombe mi cadevano sulla testa come grandine.
Ebbene ! io non esito a confessarvi che è niente, al pensiero di quel che ho visto la notte scorsa, nella sala degli Dei barbari, che mi ha fatto correre un brivido nella schiena e drizzare i capelli sulla testa !
- Che ora era quando il fenomeno si è prodotto ? interrogò il vice-conservatore.
- L' una del mattino, monsieur Rabusson, replicò il guardiano. Io stavo facendo la mia ronda nelle sale del pianterreno che danno sul bordo del fiume, quando, tutt' a un tratto, arrivando nella sala degli Dei barbari, mi accorgo di una forma umana che, avvolta in un sudario nero e con una specie di cappuccio in testa, mi voltava la schiena e si teneva in piedi presso la statua di Belfagor.
Dirigendoci contro la luce della mia torcia, io grido : « Chi è là ? » Ma il fantasma, con un salto prodigioso, si getta fuori dalla luce. Al chiarore della luna che filtrava attraverso le finestre, lo vidi infilarsi tra due file di statue e scomparire nella galleria che conduce allo scalone della Vittoria di Samotracia. impugnando la mia rivoltella, io mi slanciai al suo inseguimento. e lo raggiunsi al momento in cui, dopo aver salito gli scalini, arrivai al pianerottolo, e puntando su che gli la mia arma, gli ordinai : « Alt ! o sparo ! »
Ma appena avevo messo il dito sul grilletto, il fantasma faceva un salto di fianco e spariva come si fosse mischiato alle tenebre.
Terrorizzato, io montai i gradini quattro a quattro, scaricando il mio revolver. giunsi sul pianerottolo.
Io cercai, con mia torcia, dove poteva nascondersi il mio mascalzone.
Ma io non scoprii niente; esamino il suolo, palpo i muri che portano i segni delle mie pallottole. Sempre niente ! E' da credere che il fantasma si sia volatilizzato attraverso i muri del palazzo. Ecco, monsieur, la verità, tutta la verità, io ve lo giuro !
Visibilmente impressionato dalla manifesta sincerità del guardiano, eccellente servitore la cui buona fede e il coraggio erano al sopra di ogni sospetto, Lavergne guardò a turno i suoi due collaboratori che non sembravano molto meno disturbati che gli dal racconto che avevano appena sentito.
Poi, alzandosi, fece :
- Ebbene ! andiamo a vedere. seguiteci, Gautrais.
Essi guadagnarono subito la sala degli Dei barbari, dove un gruppo di impiegati e di uomini di servizio discutevano davanti alla statua di Belfagor.
Quando videro apparire i nuovi arrivati, tutti si affrettarono a tagliare la corda, con l' eccezione del guardiano in capo, Jean Sabarat, specie di ercole dalle proporzioni atletiche, che emanava la forza, la calma e l' ardimento.
Levandosi rispettosamente il berretto, Sabarat si diresse verso il suo capo.
- Signor conservatore, annunciò, si sono scoperte delle tracce sospette.
E indicò il basamento della statua di Belfagor, dio dei Moabiti, la cui maschera stravolta, sconcertante, enigmatica, sembrava contemplare sghignazzando gli esseri umani che la circondavano.
Lavergne si avvicinò e esaminò con attenzione il piedestallo. Egli portava dei graffi freschi, abbastanza profondi, che sembravano essere stati fatti con l' aiuto di uno scalpello.
Turbato da questa scoperta, il conservatore in capo rimuginava :
- Questo non è normale; e c’è da chiedersi se un ladro non si sia introdotto nel museo.
- Dopo il furto della Gioconda, osservava Rabusson, molte precauzioni sono state prese, tanto che è impossibile penetrare la notte nel Louvre.
Il segretario aggiunse :
- E pure di nascondersi prima della chiusura.
Grave, pensieroso, Lavergne decise :
- Io vado ad avvertire la polizia.
Già egli si allontanava con suoi collaboratori, quando Sabarat, colto da un' idea improvvisa, lo raggiunse dicendo :
- Signor conservatore, se immischiamo la polizia in questa storia, il fantasma, se si tratta d'altro che di un fantasma, si guarderà bene dal riapparire.
- Molto giusto.
- Dunque, vi chiedo il permesso di nascondermi questa sera in questa sala, e vi garantisco che se il nostro furbone ritorna, io m' incarico di regolare il suo conto.
- Che ne pensate, signori ? chiedeva Lavergne.
- Sabarat ha ragione, approvava Rabusson.
- Con lui, si può stare tranquilli, affermava il segretario.
- Ebbene ! è inteso, mio caro Sabarat, stanotte siete voi di guardia !
Tutti e tre lasciarono la sala.
Dopo che furono scomparsi, Gautrais si avvicinò a Sabarat e gli domandò :
- Capo, volete che questa notte resti con voi ?
- Io ti ringrazio, vecchio mio, ma non ne vale la pena !
- Tuttavia, mi sembra che potrei esservi utile.
- Io preferisco essere solo.
Gautrais conosceva la testardaggine del suo collega, un basco, che dalla parte di madre aveva del sangue bretone nelle vene e non insistè.
- Dunque, buona fortuna capo, fece, stringendogli la mano.
E ancòra sotto l' impressione degli avvenimenti nei quali era stato coinvolto la notte precedente, si affrettò a raggiungere sua moglie, una buona comare, dal viso un pò burroso, ma naturalmente allegra, e che, ansiosa di sapere, lo attendeva nel grande cortile del Louvre.
- Che c'è di nuovo ? interrogò.
L’aria scura, il buon Gautrais replicò :
- Niente, Marie-Jeanne ! Cioe sì ! Sabarat ha chiesto di passare la notte prossima tutto solo nella sala degli Dei barbari. Io volevo vegliare con lui, ma mi ha mandato via.
- Egli ha fatto bene.
- Perchè ?
- Perchè ho idea che verrà disgrazia a tutti quelli che si occuperanno di questo affare.
- Andiamo ! Tu dici scemenze.
- Si vedrà ben bene ! Io, i miei presentimenti non m' ingannano mai !
La Gautrais aveva ragione. La commedia della veglia stava per trasformarsi in uno dei drammi più misteriosi e più spaventosi che avessero mai turbato l' opinione pubblica.
Quando l' indomani, di buon'ora, Gautrais, che non aveva chiuso occhio, penetrò, primo di tutti, nella sala degli Dei barbari, quale non fu il suo spavento scoprendo, presso la statua di Belfagor, rovesciata dal suo basamento, sul pavimento, il corpo inanimato di Sabarat.
Soffocando un grido di angoscia e cercando di sormontare il terrore che si era impadronito che gli, Gautrais si sporse verso lo sfortunato. Sebbene non avesse alcuna ferita apparente, il guardiano in capo non dava più segno di vita. Il suo revolver giaceva presso che gli, a portata della sua mano contratta in un gesto di suprema minaccia.
Al colmo del timore, Gautrais si precipitò nella galleria vicina, chiamando con voce tonante :
- Aiuto ! al soccorso !
Due guardiani che loro pure venivano a cercar notizie, accorsero e si strinsero attorno a Sabarat, che, con gli occhi chiusi, esalò un debole lamento.
- Vive ! E' vivo ! esclamò Gautrais.
Uno dei suoi colleghi, che cercava di sollevare il ferito, gridava, mostrando col dito il retro della sua testa :
- Guardate qui !
Sabarat aveva alla base del cranio una forte contusione che aveva dovuto essere stata prodotta da un violento colpo di martello o di mazza.
Gautrais, che aveva raccolto il revolver, ne apriva il tamburo. Le sei cartucce erano intatte. Mostrando l' arma ai suoi compagni, fece :
- Egli deve essere stato sorpreso. non ha neppure avuto il tempo di difendersi !
A pena aveva pronunciato quelle parole che Sabarat apriva le palpebre.
Si sarebbe detto che i suoi occhi, già velati dalla morte, cercassero di perforare le tenebre che lo circondavano col loro implacabile sudario.
La sua mano, che sembrava aver ritrovato un filo di forza, si aggrappò al braccio dell' uomo che lo sosteneva. Il sue labbra si contrassero. Un sospiro rauco e prolungato gonfiò il suo petto. E con una voce mezza spenta, ma dove tremava ancòra un eco di spavento, sussurrò :
- Il fantasma ! il fantasma !
Uno spasmo supremo gli torse le membra. La sua testa penzolò sulle sue spalle. Una bava rossastra colò dalla sua bocca spalancata.
Il guardiano Sabarat era morto !
II
JACQUES BELLEGARDE
La sera stessa, verso le diciassette, alla prefettura, mentre Ferval, direttore della polizia giudiziaria aveva nel suo ufficio un incontro con Lavergne e il suo assistente, una viva animazione regnava nella sala riservata alle informazioni giudiziarie.
Inutile aggiungere che era provocata dalla notizia del dramma che, la notte precedente, si era svolto al Louvre.
Pur aspettando il comunicato ufficiale, i rappresentanti della stampa parigina, ai quali si erano aggiunti quelli dei grandi quotidiani di provincia, si davano ai commenti più vari e più contradittori.
Si svolgevano rumorose discussioni. Le voci presero un livello al quale non erano molto abituati i muri rivestiti di carta da parati verde scuro di questa stanza austera e fresca, e a molte riprese, l' usciere di servizio aveva dovuto pregare educatamente quei signori di parlare un pò meno forte, osservazione cui non venne, d' altronde, tenuto alcun conto.
Seduto un pò a parte, un giovane di una trentina di anni, dal viso energico, lo sguardo intelligente e profondo, i modi sportivi e eleganti, sembrava non prestare alcuna attenzione al baccano che lo circondava.
Jacques Bellegarde, il brillante redattore delPetit Parisien, che dei reportage in Francia e all' estero avevano reso quasi celebre, apparteneva, infatti, a quella razza di giornalisti che parlano poco, agiscono molto e pensano di più.
Dubitando della sua immaginazione, che aveva molto viva, procedendo più
per analisi che per sintesi, molto prudente nelle sue deduzioni, e conservando sempre, nell'esercizio delle sue delicate funzioni, un perfetto buon senso, e allo stesso tempo un completo controllo di sè stesso, aveva per principio di non fissarsi mai e di studiare a fondo tutti i suoi soggetti.
Avendo una predilezione particolare per tutti i casi difficili,e il mistero del Louvre, benchè non ne sapesse ancora niente di più che i suoi colleghi, aveva immediatamente risvegliato il suo interesse.
Da subito, e vedremo in seguito quanto avesse indovinato, egli si era detto che quell' affare, che iniziava di un modo così strano, era destinato a un gran clamore. e si era messo in testa di risolvere quel fastidioso mistero, a dispetto della polizia.
Prima di entrare in azione, Bellegarde aveva tenuto a venire, anche lui, a prendere ragguagli, e attendeva pazientemente gli avvenimenti quando uno dei suoi colleghi, un gran gagliardo dalla figura rubiconda, ma dal carattere acre, che i suoi colleghi avevano soprannominatoAmaro alla Menta,gli si avvicinò e, battendogli cordialmente sulla spalla, fece :
- Ebbene ! grand'uomo, che ne pensi di questa storia ?
- Niente, ancòra.
- Andiamo !
- E tu ?
- A me mi scoccia ! dichiarava il collega di Bellegarde. I crimini, non mi vanno molto. Per iniziare, mi rifilano idee nere ; e poi, mi forzano a pedalare a tutte le ore del giorno e della notte in luoghi impossibili, al rischio di prendere un raffreddore o una congestione. Io preferisco un bel viaggio presidenziale o una esposizione. E' più fico !
- Ognuno a suo gusto ! puntualizzò Bellegarde, con un fine sorriso.
- Ti appassionano, a te, quegli imbrogli ?
- Perchè no ?
- Tu ! feceAmaro alla Menta, con una faccia sdegnosa, finirai nelle grinfie di un romanziere popolare.
Bellegarde stava per replicare; ma una porta si aprì, dando passaggio a Lavergne e a Rabusson.
Tutti si precipitarono verso i due funzionari, subissandoli di domande.
- Signori, ve ne prego ! implorava Lavergne, cercando di sbrogliarsi.
E, indicando ai suoi assalitori un uomo di una quarantina di anni, di taglia media,dai baffi scolpiti all' americana, gli occhi inquisitori, e che, giungendo
dall' ufficio del direttore della polizia, considerava gli astanti con uno sguardo acuto, sotto il quale traspariva una sorda ostilità, aggiunse :
- Ecco Menardier, uno dei nostri migliori ispettori, che ha precisamente la missione di cercare l'assassino di quel povero Sabarat. senza dubbio potrà informarvi meglio di noi.
Subito i gazzettieri, abbandonando Lavergne, circondarono Menardier. Già molti di loro,estraendo i loro taccuini dalla tasca,si accingevano a prendere note. Ma, con un tono incisivo, Menardier dichiarò,nel mezzo di un silenzio che si era creato come per incanto :
- Signori, io non ho niente da dirvi !
Un mormorio di protestò si alzò, dominato subito dalla voce tagliente dell' ispettore che, girandosi verso il conservatore e il suo assistente, aggiunse :
-... e sarò riconoscente ai signori di voler adottare lo stesso atteggiamento.
Dei nuovi mormorii sorsero. Ma Jacques Bellegarde avanzando verso l' investigatore gli diceva con un tono di cortese rimprovero :
- Voi non siete molto amabile con la stampa, monsieur Menardier.
L’ispettore replicò nervosamente :
- In quest'affare più che in ogni altro, una discrezione assoluta è necessaria.
- Tuttavia.
- Scusatemi, signori, io faccio il mio mestiere.
Con un sorriso pieno di finezza, Bellegarde replicò :
- E io, sto cercando di fare il mio.
Senza insistere, Menardier si schermì, trascinando con lui Lavergne e il suo assistente. Il reporter delPetit Parisien, lasciando i suoi confratelli a manifestare rumorosamente lo scontento che gli ispirava l' atteggiamento del poliziotto, guadagnò subito l' uscita.
Egli urtò quasi l' ispettore, che fermo sul marciapiede con i due funzionari, gli raccomandava un ultima volta di osservare la più prudente riserva. Alla vista del giornalista, Menardier aggrottò le sopracciglia.
- Rassicuratevi, mio caro, lanciò Bellegarde, non ho per niente l' intenzione di pedinarvi !
E aggiunse con una leggera punta di ironia :
- Io credo di potervi affermare che sto per prendere una strada del tutto differente della vostra.
Egli si allontanò, dopo avere educatamente sollevato il suo cappello.
- Quel mascalzone, bofonchiò l' investigatore, con un accento di cattivo umore, preferirei aver a che fare con cinquecento diavoli !
- Senza dubbio, riprese Lavergne, temete che racconti in lungo e in largo i fatti vostri e che non dia così l' imbeccata al colpevole ?
- Non è cosi ! fece Menardier, con un accento di franchezza spontanea.
E aggiunse con un tono inquieto :
- Ho sopratutto paura che mi freghi !
Dopo avere invano tentato di penetrare al Louvre, dove una consegna ferrea chiudeva, fino a nuovo ordine, le porte al pubblico, Jacques Bellegarde si era deciso a riguadagnare a piedi ilPetit Parisien.
Egli aveva per principio, quando si trovava di fronte a un caso imbarazzante, di non isolarsi nella calma del suo ufficio, ma di marciare attraverso le arterie più animate della capitale.
Contrariamente a tanti altri, il movimento, il rumore della via, lungi da distrarlo, rendevano più pronto il suo cervello ad afferrare al volo e a classificare i pensieri che si incrociavano nel tumulto di ipotesi che egli serviva a sè stesso.
Dopo aver costeggiato la rue de Rivoli e essersi infilato sul boulevard de Sebastopol, si diceva, camminando :
- Io mi sento un romanziere che si trova di fronte a una pagina bianca, con un unico punto di partenza,accattivante certo, ma di cui ignora ancòra lo sviluppo e la fine. Infatti, il problema si pone così : «Una notte, al Louvre, un guardiano, facendo la sua ronda, crede di scorgere un fantasma che fugge alla sua vista. Egli si lancia al suo inseguimento, gli spara molti colpi di revolver. E il fantasma svanisce nelle tenebre. »
« Il che non è già troppo male, ma non è tutto !
« L' indomani, un altro guardiano, che si è offerto il ghiribizzo di passare la notte tutto solo nella sala dove è apparso il fantasma, è trovato ammazzato ai piedi della statua rovesciata del dio Belfagor, il cui basamento porta, dal poco che ho potuto sapere, tracce di graffi.
« Chi è quel misterioso e terribile assassino ? Come e in quale disegno si è introdotto nel museo ? Perchè si è attaccato alla statua di quel Belfagor, che, senza alcun dubbio, non gli aveva fatto alcun male ? Per sottrarla ? Hem ! mi sembra molto difficile e molto poco verosimile. Dunque ? Dunque, accendiamo una sigaretta.
Bellegarde trasse dalla tasca della sua giacca un astuccio in argento, da cui estirpò un sigarettoabdullah, quando si vide tutto a un tratto
accerchiato da una banda di strilloni che gridavano la terza edizione di un giornale della sera. La folla si disputava le copie e attaccava subito la lettura con un interesse che si leggeva su tutti i volti. Era evidente che l' affare del Louvre appassionava il pubblico.
Il reporter si affrettò a comprare un esemplare e lo scorse rapidamente. Non gli apprese niente che non sapesse già. E subito riprese la sua strada continuando il suo monologo mentale, quando un pò prima di arrivare ai grandi boulevard, si urtò a un assembramento abbastanza numeroso di sfaccendati fermi davanti alla terrazza di un caffè, che ascoltavano il vociare di una radio che, posta sopra la porta di ingresso del locale, commentava, con un tono tragico, l' assassinio del guardiano Sabarat.
Una comare,con un borsa di provviste in mano e il viso congestionato di emozione, assorbiva, il naso in aria, quel racconto sensazionale, e spinse un urlo di spavento, e, indicando col dito il locale da dove sfuggiva il racconto di quel crimine spaventoso, gridò :
- Il fantasma. io l'ho visto laggiù !
Risate. Jacques Bellegarde, che si era avvicinato, condivideva l'ilarità generale, quando la sua attenzione fu attirata da una deliziosa giovane la cui sobria e gentile eleganza, il profilo fascinoso, la biondezza dorata e il viso colmo di grazia spirituale e di maliziosa gaiezza, ne faceva il tipo della vera parigina.
Attorno a loro, fiorivano le discussioni :
- Io ! proclamava un giovanotto, vi dico che è un fantasma.
- Io ! replicò un vecchio, l' aria indignata, vi dico che è un ladro.
Un ladro ! un fantasma ! Un fantasma ! un ladro ! quelle due parole si incrociavano in una disputa incipiente.
Dunque, rivolgendosi alla giovane che, da quando l'aveva notata, non aveva lasciata cogli occhi, il reporter fece, con una voce amabile :
- E voi, mademoiselle, che ne pensate ?
- Voi siete troppo curioso, monsieur Bellegarde, rispose la graziosa sconosciuta.
Il giornalista rimase basito. Infatti, benchè potesse vantare, a giusto titolo, di avere una infallibile memoria fisionomica, non ricordava di aver mai incontrato quella incantevole personcina.
Dunque, come lo conosceva ?
Il desiderio di saperlo lo spinse persino a seguire la sua squisita interlocutrice. E benchè avesse preso su che gli un certo vantaggio, non tardò a raggiungerla. E sollevando il suo cappello, stava per rivolgerle la parola,quando ella si voltò. Il suo bel viso non esprimeva alcuna indignazione, alcun fastidio, ma rivelò una pudica riserva, e il suo sguardo esprimeva un invito al rispetto eloquente, e
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