Detur ergo Sathane. Il tema della vindicta nel Liber suprastella di Salvo Burci - article ; n°1 ; vol.112, pg 149-182
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Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age - Année 2000 - Volume 112 - Numéro 1 - Pages 149-182
Caterina Bruschi, «Detur ergo Sathane». Il tema della 'vindicta' nel 'Liber Suprastella' di Salvo Burci, p. 149-182. Il Liber Suprastella del laico Salvo Burci (1235) riserva grande attenzione al tema della vindicta contro gli eretici: esso dedica tre capitoli all'analisi del potere civile e alla legittimità della persecuzione. L'orizzonte della sua ricostruzione è il mondo comunale, dove l'elemento perturbatore dell'eresia è anteposto alla corruzione delle coscienze. Pur riprendendo terni classici della polemistica, il Liber consente di ricostruire la percezione che il pubblico laico di Piacenza aveva dell'argomento. La persecuzione dell'eretico stenta ad essere accettata: il suo comportamento non differisce infatti da quello di altri cittadini. Il delitto di pensiero, in un contesto in cui la repressione antiereticale è paragonabile a quella di altri reati comuni, non giustifica la persecuzione, soprattutto se ad esercitarla sono uomini di Chiesa il cui evangelismo è da tempo oggetto di aperta critica.
Caterina BRUSCHI Detur ergo Salhane Il tema della vindicta nel Liber Suprastella di Salvo Burd 149-182 Il Liber Suprastella del laico Salvo Burci 1235 riserva grande attenzione al tema della vindicta contro gli eretici esso dedica tré capitoli analisi del potere civile alla legittimità della persecuzione orizzonte della sua ricostruzione il mondo comunale dove elemento perturbatore eresia anteposto alla corruzione delle coscienze Pur riprendendo temi classici della polemistica il Liber consente di ricostruire la percezione che il pubblico laico di Piacenza aveva argomento La persecuzione eretico stenta ad essere accettata il suo comportamento non differisce infatti da quello di altri cittadini Il delitto di pensiero in un contesto in cui la repressione antiereticale paragonabile quella di altri reati comuni non giustifica la persecuzione soprattutto se ad esercitarla sono uomini di Chiesa il cui evangelismo da tempo oggetto di aperta critica
34 pages
Source : Persée ; Ministère de la jeunesse, de l’éducation nationale et de la recherche, Direction de l’enseignement supérieur, Sous-direction des bibliothèques et de la documentation.

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Publié le 01 janvier 2000
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Langue Italiano
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Extrait

Caterina Bruschi
Detur ergo Sathane. Il tema della vindicta nel Liber suprastella di
Salvo Burci
In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes T. 112, N°1. 2000. pp. 149-182.
Riassunto
Caterina Bruschi, «Detur ergo Sathane». Il tema della 'vindicta' nel 'Liber Suprastella' di Salvo Burci, p. 149-182.
Il Liber Suprastella del laico Salvo Burci (1235) riserva grande attenzione al tema della vindicta contro gli eretici: esso dedica tre
capitoli all'analisi del potere civile e alla legittimità della persecuzione. L'orizzonte della sua ricostruzione è il mondo comunale,
dove l'elemento perturbatore dell'eresia è anteposto alla corruzione delle coscienze.
Pur riprendendo terni classici della polemistica, il Liber consente di ricostruire la percezione che il pubblico laico di Piacenza
aveva dell'argomento.
La persecuzione dell'eretico stenta ad essere accettata: il suo comportamento non differisce infatti da quello di altri cittadini. Il
delitto di pensiero, in un contesto in cui la repressione antiereticale è paragonabile a quella di altri reati comuni, non giustifica la
persecuzione, soprattutto se ad esercitarla sono uomini di Chiesa il cui evangelismo è da tempo oggetto di aperta critica.
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Bruschi Caterina. Detur ergo Sathane. Il tema della vindicta nel Liber suprastella di Salvo Burci. In: Mélanges de l'Ecole
française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes T. 112, N°1. 2000. pp. 149-182.
doi : 10.3406/mefr.2000.3754
http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_1123-9883_2000_num_112_1_3754CATERINA BRUSCHI
DETUR ERGO SATHANE
IL TEMA DELLA VINDICTA NEL
LIBER SUPRASTELLA DI SALVO BURCI
II Liber Suprastella1 del laico piacentino Salvo Burci, composto nel
1235, rappresenta una testimonianza assai particolare tra le fonti contro-
versistiche che nel XIII secolo cercarono di contrastare il catarismo, eresia
grandemente diffusa nei comuni del Nord Italia. Non si tratta infatti sol
tanto di un'opera di confutazione teologica scritta da un nobile laico, ma
anche di una composizione a carattere strettamente «locale»: realizzata
cioè sotto il patrocinio - e forse su commissione - di una nobile famiglia
piacentina (la famiglia de Cario), per dichiararne l'estraneità rispetto ai
gravi disordini che in quegli anni avevano opposto le diverse fazioni politi
che, opera insomma diretta ad un pubblico urbano, con tutta probabilità
proprio quello di Piacenza. Al livello scientifico del trattato in sé - che sen
za dubbio dal punto di vista polemistico è davvero poco elevato - fa da
contrappunto una vivacità di toni e di immagini, una libertà dagli schemi
di scuola, un carattere di spiccata concretezza che lo caratterizzano come
la fonte meno teorica su questo argomento, e per tali caratteristiche, la più
adatta ad illustrare («in negativo») la percezione laica del fenomeno catar
ismo e della sua repressione.
Alla base del concetto di pericolosità del catarismo e, di conseguenza,
di punizione fisica nei confronti dei suoi seguaci, sta un sostanziale para
dosso. Il mondo creato, malvagio, non esercitava alcuna attrattiva, ma allo
stesso tempo vivere ed agire in esso non determinava per l'uomo alcuna
condanna dopo la morte. Così la grande maggioranza degli eretici catari, i
credentes, quella parte della popolazione che viveva e lavorava nei Comuni
italiani2, non considerava determinante per la propria salvezza ο dannazio-
1 D'ora in poi LSS.
2 È opportuno operare una distinzione tra chiese catare italiane e francesi, sulla
scorta di evidenti differenziazioni nel vivere la medesima professione; cf. innanz
itutto E. Dupré-Theseider, Le catharìsme languedocien et l'Italie, in Cathares en Lan-
MEFRM - 112 - 2000 - 1, p. 149-182. CATERINA BRUSCHI 150
ne il contegno tenuto nella quotidianità. La prassi etico-comportamentale
veniva pertanto ad essere del tutto svincolata ed estranea al presupposto
ideologico. Solo nel ritualismo, al livello dei credentes, era visibilmente rap
presentata la speranza del ricongiungimento alla propria parte spirituale, a
quel frammento di sé che, pur sussistendo lontano dal mondo, determina
va e pregiudicava l'atteggiamento di distanza nei confronti del mondo stes
so.
Piuttosto, la vera e propria «alterità» del catarismo stava in quel grup
po tanto più esiguo numericamente quanto influente per l'organizzazione,
in quella gerarchia ecclesiastica che riservava a pochi l'accesso alle dottrine
più antiche e misteriose, che per lo più ne trasmetteva la conoscenza di
perfetto in perfetto, che definiva spostamenti, dottrina, gerarchia, dirigeva
e coordinava la rete della missionarietà.
Se osservato in rapporto con le società su cui si innestava, allora, il ca
tarismo italiano assume per l'analisi storica una facies strutturata su due
piani di vita paralleli, intersecantisi solo tramite il ritualismo, e - fatta ec
cezione per questo - in complesso del tutto indipendenti tra di loro. '
Più estraneo dunque a sé stesso3, che non - e parliamo sempre di cre
dentes, beninteso - nei confronti della realtà quotidiana della vita dei Co
muni italiani. In questo senso il «nuovo manicheismo» non divenne altro
che un diverso modo di concepire la vita4, pur condividendone in tutto e
guedoc, Tolosa, 1968 (Cahiers de Fanjeaux, 3), p. 299-316. Secondo lo studioso infatti
«Les églises cathares, les diocèses cathares, autant d'entités bien distinctes, sans
liens hiérarchiques et probablement, à l'origine, sans communications de l'une à
l'autre» (op. cit., p. 301); cf. anche l'intervento di R. Manselli al contributo di C. Vio
lante, Hérésies urbaines et hérésies rurales en Italie du XIe au XIIIe siècle, in Hérésies et
sociétés dans l'Europe pré-industrielle (XIe-XVIIIe siècle), Parigi - L'Aia, 1968, p. 171-
198 : p. 198; J.-L. Biget, / catari di fronte agli inquisituri in Languedoc, in A. Paravici-
ni Bagliani e J.-C. Maire Vigueur (a cura di), La parola all'accusato, Palermo, 1993,
p. 235-251 : p. 247 (con riferimento all'analisi di Le Roy Ladurie per la Francia).
3 Si tratta della netta contrapposizione tra fedeli intra ed extra Ecclesiam. Il
concetto è ampiamente trattato nel Liber de duobus principiis, dove si distinguono
coloro che si salveranno da chi non ne avrà mai la possibilità : cf. Un traité néo
manichéen du XIIIe siècle. Le Liber de duobus principiis, éd. A. Dondaine, Roma,
1939; Livre des deux principes , éd. Ch. Thouzellier, Parigi, 1973; La cena segreta. Trat
tati e rituali catari, cur. F. Zambon, Milano, 1997, p. 127-258. Ma anche Manselli in
travedeva questa dicotomia tra le categorie, visibile soprattutto nel grado di consa
pevolezza del credo stesso : «era l'aspetto stesso del dualismo ad essere sfuggente» a
gran parte dei credenti, cui «rimanevano invece evidenti solo le conseguenze pra
tiche e morali della fede» (R. Manselli, Un'abiura del XII secolo e l'eresia catara, in //
secolo XII : religione popolare ed eresia, Roma, 19952, p. 214.
4 In questo senso, la linea è quella introdotta da R. Manselli in // principio del
Male nell'eresia catara, (in Archivio di filosofia, 1982, p. 141-153), anche se, rispetto a IL TEMA DELLA VINDICTA NEL LIBER SUPRASTELLA 151
per tutto momenti, modalità e luoghi5. Più «libero» dai vincoli che il mon
do esercitava, e quindi meno immediatamente eversivo nei suoi confronti
di quanto non fossero le manifestazioni di dissenso a connotazione paupe-
ristica6, esso tuttavia racchiudeva al proprio interno la vera minaccia. E' il
mito a connotarne l'«ereticità»7, ed il mito sta sotto ed alla base di tutto il
resto8. Talvolta celato agli stessi propagatori della dottrina, il nucleo vera-
quelle prime intuizioni, il punto di arrivo è oggi maggiormente articolato. Il più re
cente contributo sull'argomento è nel lavoro di L. Paolini, // dualismo medievale in
Trattato di antropologia del sacro. IV. Crisi, rotture e cambiamenti, Milano, 1995,
p. 185-218 : p. 207 ss.
5 Da qui ha origine il filone di studio che mira ad una puntualizzazione dello
stato sociale degli eretici. Esso si sostanzia di «ipotesi (...) legittimate dal fatto che
esso [l'inquisito] comunque opera e si colloca in un contesto in cui la parentela, il
mestiere, l'azzonamento, lo schieramento politico e così via hanno una loro precisa
valenza. (...) Al di fuori di tale approccio metodologico si rischia inevitabilmente di
cadere in un banale psicologismo che tutto può essere fuor che ricerca storica»
(R. Orioli, Pro heresi, hereticis et eorum fautoribus, in Bulletino dell'Istituto storico
italiano per il medio evo e Archivio muratoriano, 95, 1989, p. 203-216 : p. 207).
6 Sul rapporto dei catari con le ricchezze materiali, cf. J.-L. Biget, / catari...,
p. 249; C. Violante, Hérésies urbaines..., p. 185.
7 Cf. A.

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